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Carbonaragate: il peggio doveva ancora venire

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Non si spengono gli echi del Carbonaragate.

Chiunque (solo nelle ultime ore, TelegraphBon Appetit e Munchies) ha parlato del video pubblicato la settimana scorsa dal sito francese Demotivateur che ha raggiunto picchi di odio incondizionato per quella versione inguardabile della carbonara, ammesso che si possa definire tale una ricetta che catapulta in ordine sparso pasta, panna, pancetta e parmigiano, tutto nella stessa pentola.

Ma ancora stamattina Repubblica, con tempi di reazione non proprio da centometrista, dedicava alla vicenda un’intera paginata: ricostruzione del Carbonaragate, 10 sfumature di carbonara (cioè le varianti d’autore del popolare piatto, sfortunatamente titolate), una breve intervista a Nabil Hadj Hasses, dove l’ex lavapiatti tunisino diventato cuoco di Roscioli, nonché autore della migliore carbonara di Roma, spiega i segreti del piatto (Dissapore lo ha fatto con un bell’episodio dei 5 errori).

Infine, le origini della carbonara, ricostruzione affidata a Corrado Augias, giornalista e scrittore romano.

Carbonara, La Repubblica

Il quale, pur nato nella capitale, usa verso la cucina romana le parole riservate alle cose ritenute indegne, allineandosi alla vulgata, purtroppo molto frequentata, che vuole Roma come la città italiana in cui si mangia peggio. Una cucina delibata da persone, i romani, che non sentono i sapori ma solo il gusto illusorio della convinzione che la loro cucina sia speciale.

Direbbero a Roma: Ma questo come si permette? Ma questo in quale parte del suo cerebro partorisce tali convinzioni gastronomiche?

Come se tutto ciò non bastasse, come se la carbonara non fosse stata abbastanza oltraggiata negli ultimi giorni, ci si mette pure il Guardian.

Ma okay, andiamo con ordine.

1. Carbonara le varianti d’autore.

Pizza alla Carbonara

Vista la popolarità del piatto ce ne sono molte altre, ma queste sono le varianti d’autore della carbonara griffate da 10 chef italiani di vaglia.

Fagottelli di carbonara – Heinz Beck | La Pergola, Roma: il condimento è all’interno dei fagottelli, mentre la salsa è a base di fondo di vitello e zucchine.

Negativo di carbonara – Antonello Colonna | Open Colonna, Roma: anche in questo caso è la pasta a essere ripiena di carbonara e mantevata poi nella crème fraiche.

Carbonara di mare – Mauro Uliassi | Uliassi, Senigallia (AN): mantecata con salsa alle uova di canocchie e muggine, e ricci di mare. Il guanciale è a base di trippe di baccalà.

Carbonara di montagna – Norbert Niederkofler | St. Hubertus, San Cassiano (BZ): solo prodotti locali per lo chef altoatesino: pasta di farro, lardo, polvere di speck e formaggio d’alpeggio.

Carbonara di pesce – Aurora Mazzucchelli | Marconi, Sasso Marconi (BO): preparata utilizzando capesante e triglie. Niente uova, sostituite da un’emulsione dei coralli dei molluschi.

Riassunto di carbonara – Riccardo Di Giacinto | All’Oro, Roma: tutti gli elementi (uova, formaggio, guanciale) sono racchiusi all’interno di un guscio di uovo.

Black is black – Davide Scabin | Combal.Zero, Rivoli (TO): spaghetti al nero di seppia cotti sottovuoto, caviale e crema di uova montate con il grasso del guanciale e il formaggio.

Gelato di carbonara – Iside De Cesare | La Parolina, Trevinano (Viterbo): uova e formaggio trasformati in gelato, con spaghetti di zucchine, pancetta croccante e tartufo nero.

Pizza alla carbonara – Stefano Callegari | Pizzeria Tonda, Roma: una matrimonio tra la base classica della pizza e il tradizionale condimento della carbonara.

Risotto alla carbonara – Christian e Manuel Costardi | Hotel Cinzia, Vercelli: il risotto viene condito con tuorlo d’uovo sbattuto, guanciale croccante, crema di pecorino e una spolverata di pepe.

2. I segreti della carbonara di Roscioli

Carbonara Roscioli

Mai mantecare la pasta con l’uovo nella padella calda, non si fa una carbonara ma una frittata. Da Roscioli creano a bagnomaria una crema di uova e formaggio, e poi, lontano dal fuoco versano dentro la pasta. Facendo così non c’è bisogno di ricorrere all’acqua o alla panna, che, secondo Nabil Hadj Hassesnon, cuoco tuinisino di Roscioli, sono i trucchi di chi non la sa cucinare bene.

Infine, fondamentale, il pepe va grattugiato al momento, dopo averlo tostato in padella per sprigionare tutti i suoi profumi. Poi guanciale e un mix di pecorino romano, pecorino di fossa, parmigiano.

3. Le origini della carbonara, di Corrado Augias

augias, carbonara

Sono tutte ipotesi risapute, tranne forse la terza, quella dell’origine napoletana.

Ma colpisce lo spregio di Augias verso la cucina romana, dove la pasta, nonostante la notorietà planetaria come nel caso della carbonara, è sempre vistosamente carica, ma che dico, gravida, di lardo. E perfino un raro esempio di perfezione come la coda alla vaccinara diventa un “piatto da mattatoio“.

Leggete voi stessi.

L’origine della pasta alla carbonara è misteriosa. Circolano almeno tre ipotesi sulla creazione di questo gustosissimo piatto.

Uno: è un’invenzione degli americani dopo la liberazione di Roma (4 giugno 1944). Le truppe erano rifornite di scatolette di (squisitissimo) bacon, aggiungendovi uova (anche in polvere) e spaghetti, buttarono giù una specie di ricetta che poi dei veri cuochi perfezionarono.

Due: il piatto sarebbe un’invenzione di veri “carbonari”, non quelli risorgimentali benineteso, bensì quelli che facevano il carbone di legna. Operazione lunga, durante la quale si rifocillavano con ingredienti di facile reperibilità mescolati agli spaghetti –anzi: maccheroni, parola oggi desueta ma allora appropriata.

Tre: l’origine sarebbe napoletana, ipotesi accreditata dal fatto che ingredienti analoghi compaiono in varie ricette di quella regione.

Quale delle tre ipotesi sia quella giusta è verosimile che non si potrà mai accertare.

Una cosa invece è sicura, la carbonara s’inserisce perfettamente nella cucina romana che era, ed è ancora oggi, fatta di sapori e di ingredienti rustici. Alla sua base ci sono l’abbacchio arrostito sul fuoco, gli spaghetti all’amatriciana gravidi di lardo, la coda di bue alla vaccinara, un piatto da mattatoio, i rigatoni con la pagliata, vale a dire una pasta gravemente insaporita con gli intestini di un vitello da latte.

Tra i formaggi il pecorino, ricavato come dice il nome dal latte di pecora, grasso e piccante. Una cucina sapida, rozza, povera come quelli che l’hanno inventata.

Quando un inglese spiega a un francese come fare la carbonara.

carbonara guardian

Vergogna.

Vergogna.

Vergogna.

Vergogna.

Vergogna.

Vergogna.

Vergogna.

Vergogna.

Vergogna.

Vergogna.

10 volte vergogna per il Guardian che mette l’aglio nella carbonara.

[Crediti | Repubblica, Guardian]


Sbanco a Roma: il poker di Stefano Callegari è servito

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Stefano Callegari ha aperto Sbanco a Roma. Vi sento chiedere: chi è questo Stefano Callegari e da quando l’apertura di una nuova pizzeria nella capitale è diventata una notizia?

A parte che dovreste sapere chi è Stefano Callegari, pizzettaro che a Roma, nel 2005, con Sforno, ha trasformato la pizza con gli amici (entri /ordini quel che c’è/ mangi/ti spari un birrozzo/ paghi poco/ sei fuori 15 minuti dopo) in un’esperienza, come si dice oggi. Per giunta in periferia e in nome del lievito madre, all’epoca non ancora à la page.

Molte Greenwich, Fumo e Cacio e Pepe dopo (sono le pizze culto del locale) è arrivata Tonda, a Monte Sacro, altra pizzeria macina sold out.

E ancora non abbiamo menzionato il Trapizzino. Invenzione vera, con tanto di marchio registrato, è la sintesi dello street food tanto di moda: una scarpetta da asporto (© Callegari), angolo di pizza bianca a forma di tramezzino farcito senza risparmio di romanità assortite: amatriciana, coratella, lingua, trippa e picchiapò.

[Peraltro Callegari è stato il finalista del primo Campionato della pizza di Dissapore]

sbanco, roma

sbanco, roma

Tutto ciò chiarito, Callegari ha aperto Sbanco a Roma, in via Siria 1, per la precisione, subito dietro Piazza Zama, in società con Marco Pucciotti, già proprietario di Epiro e altri locali sparsi tra Roma e Londra (elenco lunghino) e con Giovanni Campari di Birrificio del Ducato.

Domanda legittima: Roma (e pure Callegari) avevano bisogno di una nuova pizzeria/brew pub da duecento coperti, più una trentina al banco, dove si spilla e produce birra artigianale in proprio?

Risposta prevedibile: parliamo del rubicondo inventore del trapizzino, giusto? Logico che ogni sua nuova avventura imprenditoriale venga salutata con interesse.

Non foss’altro per scoprire se Sbanco sposterà di una tacca il percorso di crescita imposto dal nostro alla pizza romana.

Bene, passiamo alla cronaca.

sbanco, Roma

MENU

Accomodati da Sbanco, fratello affetto da gigantismo di Sforno, ci concentriamo sul menu: Antipasti (cinque), Fritti (sette), Pizze Rosse (sei), pizze bianche (cinque), pizze speciali (sei), seguono sei secondi e quattro dolci. Fine.

Le chiacchiere stanno a zero come certi barocchismi che trasformano i menu in appendici della Treccani.

sbanco, roma, pizza

COSE CHE COLPISCONO L’ATTENZIONE

Istituzione profondamente romana il supplì trova nel menu di Sbanco il suo bignami: supplì broccoli e pecorino, un promettente supplì epatico con coratella d’abbacchio, fegatino di pollo, lardo, fegato di maiale e di vitello (W il quinto quarto), supplì aglio e olio.

Classiche le pizze Bianche e Rosse, più interessanti le Speciali, tipo Broccoli e arzilla oppure Iblea con formaggio Ragusano e peperoni arrostiti. Ma la pizza per cui bisogna venire da Sbanco è Testarossa.

La storia (NON PER VEGANI): la coppa di testa è un prelibato insaccato fatto con la testa di maiale e le altre ossa rimaste dalla macellazione messe a cuocere per ore in un calderone.

Ai tempi di Sforno, prova oggi, prova domani, lo staff si accorge di quanto il Negroni (sì, proprio il cocktail con Campari, gin e vermut rosso inventato nel 1920 dal conte Camillo Negroni a Firenze) esalti il sapore della coppa di testa. Ragione per cui il fiordilatte marinato per 24 ore nel Campari e le patate si aggiungono agli ingredienti della Testarossa. Una meraviglia.

Le cotture sono sempre al limite, come vuole lo stile di casa Callegari, chi ama poco il bruciato è avvisato.

supplì, sbanco, roma

Supplì, sbanco, roma

Ci sono anche alcuni secondi piatti interessanti, segnalazione meritata per la cotoletta d’agnello panata o il petto d’anatra con barbe di finocchio. In cucina c’è Sara Cicolini, già collaboratrice di Roy Caceres, chef del ristorante stellato Metamorfosi.

Ambiente spazioso, arredo urbano, pareti dipinte a toni neutri o finto-scrostate, decorazione minima. Prevale il minimalismo, bancone attira-sguardi escluso.

sbanco, roma, birra alla spina

birre, sbanco, roma

BIRRA ARTIGIANALE

Da figlio di mastro birraio cresciuto in una malteria capirete che sono interessato al tema. I 20 metri del mastodontico bancone allineano ben 15 spillatori, di cui 4 riservati alle forniture che arrivano direttamente dal Birrificio del Ducato.

Ma soprattutto, Sbanco, è un brewpub, un posto dove la birra si fa in casa. Per ora in quantità limitata, vedremo in seguito.

Al momento la carte delle birre alla spina, che cambia una volta la settimana, prevede una rotazione continua tra il meglio dei produttori italiani e internazionali.

tiramisu, sbanco, roma

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PREZZI

Una Margherita cotta nel bel forno Valoriani che può cuocere 12 pizze alla volta, costa 7,50 €. Testarossa 12 €. Supplì a 2,50 €, supplì epatico 3 €. Sono prezzi nella media delle pizzerie romane, non vi pare?

Rivedibile la scelta dei televisori da muro, molto stile Roma Club, servizio fin troppo gggiovane ma diciamo fuori dai denti: Sbanco è un posto da provare. Assolutamente.

Andateci, all’uscita ci rivolgerete pensieri grati.

Colbert a Roma: com’è e cosa si mangia

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In un pomeriggio che primaverile non è, tanto meno romano (una primavera questa che, come dicono a Roma, se capisce e nsecapisce) ho scoperto “Colbert”, nuovo bistrot di Trinità dei Monti ricavato all’interno di Villa Medici, dal 1803 sede dell’Accademia di Francia a Roma.

Uno spazio caffetteria e cucina accessibile al pubblico e a chi vuole godersi la villa –non dire mai abbastanza quanto è bella–, con un orario d’apertura particolare (così ha voluto la direzione del museo): dalle 10 alle 19, in modo da coprire colazione, pranzo, merenda e aperitivo. Il giovedì si può anche cenare.

Del resto lo sappiamo, dopo i locali che celebrano gli chef star della tv, il foraging dei cuochi con i baffi all’insù e gli estrosi spazi gourmet degli stilisti, è il momento dei musei.

Mi hanno invitato all’inaugurazione ufficiale visto che il locale era in rodaggio già da un paio di mesi: un’occasione per presentare il posto nel cuore di Roma e l’idea dei quattro giovani imprenditori romani che si sono aggiudicati il bando pubblico per la gestione.

Camilla Porlezza e Marco Baroni, la coppia di ex pubblicitari che 3 anni fa ha aperto una pasticceria in zona Eur, La Fonderia, replicando due anni dopo a Prati, nonché Maddalena Salerno e Marco Del Vescovo, ideatori di Mezzi, agenzia di “pubblicità itinerante” che noleggia veicoli speciali per lo street food come l’Ape Piaggio.

I quattro hanno deciso di rottamare il triste frigorifero pieno di gelati Algida per far posto a una cucina che intende realizzare un concetto particolare di fusion: cucina romanesca e omelette, hamburger e formaggi francesi, oltre a dolci, pasticceria e una bella scelta di vini.

Colbert, Villa MediciVilla Medici, Colbert, giardino limoniColbert, RomaRoma dal Colbert, Villa MediciColbert, inaugurazioneColbert, finger food, Dandini

Il menu è curato da Arcangelo Dandini, cuoco e patron di L’Arcangelo, indirizzo noto ai romani per la quantità di perfezione continuamente applicata alle pastasciutte, e di Suppliziodedito a un’impeccabile declinazione di un altro piatto tradizionale romano: i supplì. 

Il palazzo cinquecentesco che domina la città dalla collina del Pincio, già residenza di artisti circondata da un giardino che si estende per oltre sette ettari, offre una vista splendida, c’è poco da dire.

Interni principeschi, anzi ducali (si mangia nella Galleria del duca Ferdinando de’ Medici tra capolavori post rinascimentali), pareti decorate da illustri pittori, tavoli disegnati da noti architetti, sedie in ferro, alternanza di colori, piacevole integrazione tra elementi storici e moderni.

Per una volta ci viene risparmiato l’onnipresente “spaiato” (sedie e tavoli tutti diversi) che ha tristemente uniformato molte delle aperture romane recenti.

Il giardino dei limoni è l’asso nella manica per la stagione estiva e lascia una buona impressione, così come gli assaggi proposti da Dandini, vedi la crema di cavolfiore e alici, e i dolci (ovviamente forniti da Fonderia).

Colbert, RomaColbert, RomaColbert, giardino limoniColbert, barColbert, pasticceria

Sono venuto all’inaugurazione anche per fare una domanda, voglio capire dai proprietari della Fonderia se Colbert è un modo per diversificare o se c’è dell’altro, e mi riferisco alla pasticceria, settore in ascesa ma forse non così redditizio.

Aprite il Colbert perché lo zucchero non tira?” (Mamma m’ha fatto senza filtri, quindi pongo la domanda in maniera diretta a Marco Baroni).

“Si, uno dei motivi è anche questo. In Italia non siamo abituati alla ‘pausa dolce’; la domenica compriamo le paste, prendiamo la torta per il compleanno, ma in genere preferiamo spendere 10 euro per un cocktail stuzzicando patatine ammuffite e non 3 euro per una torta monoporzione”.

Arcangelo DandiniColbert, Villa MediciColbert, giardino limoniVilla Medici, ColbertColbert, Roma

E dunque, mentre New York impazzisce per la Raindrop Cake, un dolce fatto d’acqua, in Italia le torte perdono fascino?

Magari non è proprio così, ma al momento il gin tonic con vista sulle meraviglie della città eterna rappresenta un investimento più accorto.

Io però sono pronto a modificare le piccole certezze culinarie – anche quelle romanesche, con nuovi ingredienti, se vengono dalla Francia ancora meglio.

Lascerò il tempo necessario al bistrot per andare a regime, poi tornerò al Colbert di Villa Medici per scoprire i prezzi e assaggiare una delle “baguette aperte” di Dandini: quella con la punta di petto con broccolo romano è già diventata un piccolo tormentone.

Colbert

Villa Medici

Viale Trinità dei Monti, 1- Roma

Aperto dal martedì alla domenica dalle 10 alle 19

[Crediti | Link: Dissapore, immagini: Luca Sessa, Colbert]

5 trattorie che resistono a Prati (Roma non è per fighetti)

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Alcuni pensano che la “milanesizzazione” di Roma sia soltanto supposta, una formula che ritorna ciclicamente quando i cliché ascritti alla capitale non reggono più.

Altri dicono che non è vero, basta guardare al Pigneto, quartiere-simbolo della gentrification romana e ormai luna park gastronomico e acritico, tanto per stare nel nostro (Dissapore, niente di sacro tranne il cibo).

Definizione valida anche per un quartiere come Prati, dove le aperture si moltiplicano da anni (con relative chiusure), la lista dei brunch si allunga pericolosamente al pari delle finte osterie, turistiche fin nel midollo.

Eppure, specie a ridosso del Vaticano, resistono alcune trattorie di quartiere, autentiche o riviste, che ridanno lustro alla tradizione romana e restano affrontabili da ogni tasca.

Oggi ve ne presentiamo 5 che se siete a Prati non dovete perdere.

1) HOSTARIA DINO & TONI

via Leone IV, 60

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Non formalizzatevi per i modi inizialmente un po’ bruschi dei gestori. Dino e Toni, da sempre amici per la pelle, sono come un diesel, carburano poco alla volta, all’uscita avrete guadagnato due amici. A meno che non siate tifosi della Lazio (in questo caso meglio tenere un profilo basso).

Non andate via senza aver affrontato il trittico della cucina romanesca: la gricia, sapida e legata con i rigatoni come capita di rado, i carciofi alla Giudia, leggeri e musicali nel croc quando si mangiano le foglie più esterne, il tiramisù.

Prezzo medio: 25 €

2) TRATTORIA GALLO BRILLO

viale delle Milizie, 116

trattoria gallo brillotrattoria gallo brillotrattoria gallo brillotrattoria gallo brillo

Atmosfera gagliarda e cordiale con un pizzico di sano cinismo capitolino in questa trattoria che ho scoperto di recente. Restiamo nel solco della tradizione romanesca più autentica con tanto di menu del giorno raccontato a voce spostando tra i tavoli la famigerata lavagnetta quasi fosse una sacra icona.

Porzioni generose come ci si aspetta, date una chance ai rigatoni all’amatriciana, il sugo ristretto che porta il sapore del guanciale in primo piano è una goduria che ricorderete a lungo.

Prezzo medio: 25 €

3) OSTERIA DELL’ANGELO

via G. Bettolo, 24

Osteria dell'AngeloOsteria dell'AngeloOsteria dell'AngeloOsteria dell'AngeloOsteria dell'Angelo

Più o meno tutti a Prati sanno dove si trova. Se chiedete a qualcuno che non la conosce parlategli delle pareti tappezzate di cimeli del rugby, la passione del patron Angelo Croce, capirà subito.

La filosofia del locale sta tutta nel menù-tovaglietta che recita cosi “a cena se magna o nun se magna, 25 sò l’€uro”.

Per scaldarsi consigliamo fagioli al pomodoro e le bibliche pizzette calde con la “mortazza”. Scegliere una pastasciutta soltanto è un vero dilemma, alla fine preferite la Carbonara. Controindicazione: alla prossima dieta verrete tormentati dal ricordo.

Non mollate e andate sull’involtino alla Picchiapò (classico condimento romanesco il cui nome arriverebbe da una poesia di Trilussa). Suggerimento contro corrente: chiudete con le polpette al forno dal sapore agrodolce, somo meglio di qualunque dessert.

Prezzo medio: 25 €

4) VELAVEVODETTO AI QUIRITI

Piazza dei Quiriti, 4

Flavio al velavevodetto quiriniVelavevodetto quiritiVelavevodetto quiritiVelavevodetto quiritiVelavevodetto quiriti

Chi riesce a scarpinare fino da Flavio al Velavevodetto e conquistare un tavolo in veranda si merita la cascata di formaggio, vino e chiacchiere che spetta agli avventori del locale di Testaccio.

Ma da qualche tempo Flavio ci ha riprovato a Prati, nello scenario di piazza dei Quiriti, a due passi da Castel Sant’Angelo e San Pietro. La missione di spostare una delle cucine romanesche più solide della città è pienamente compiuta.

Ambiente curato, servizio affidabile e tanta sostanza. Tra i buongustai capitolini i tonnarelli cacio e pepe sono ormai un culto vero. Ma credeteci, si cade in piedi scegliendo qualunque piatto preparato dalla cuoca Loredana Santarelli. c’è anche una bella scelta di vini di locali.

Prezzo medio: 30€

5) IL CIOCIARO

via Barletta, 21

Il ciociaroIl ciociaroIl ciociaroIl ciociaro

Adiacente la fermata della metro Ottaviano, questa trattoria per la ristorazione del quartiere è una specie di simbolo. A cominciare dalla forma scavata di pecorino romano del Lazio (più saporito del pecorino romano che contiene anche latte non laziale) che funge da mantecatore naturale per i notevoli maccheroni all’Amatriciana (vorreste che non finissero mai).

A parte il déhors che affaccia su via Barletta, l’interno del locale si distingue per le alte volte in tufo e il buffet di pesce a vista.

Molto più di una semplice trattoria di quartiere.

Prezzo medio: 30 €

[Link: Dissapore, immagini: Cataldo Latorre]

La primavera dei ristoranti di Roma: tutte le novità

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Degrado, ritardi e sprechi di una città abbandonata a se stessa. Se questa descrizione si adatta dolorosamente a Roma, il comparto ristorazione (che significa giro di denaro e posti di lavoro, stipendi alti e molto alti, indotto, dai taxi agli arredatori, dai manager ai grafici) continua a crescere.

Un piccolo boom gastronomico in controtendenza, tanto che dopo l’episodio di gennaio possiamo tornare a spigolare sulle tante novità primaverili.

Primavera che si era aperta con la sorpresa legata a Marco Martini, che chiusa l’avventura con Stazione di Posta (dov’è arrivato l’ex Settembrini Gigi Nastri) può ora dedicarsi al progetto The Corner, sull’Aventino, boutique/hotel con terrazza dalla vista incantevole mai veramente decollata, e che ora si affida alle mani del giovane chef stellato di Colleferro.

Fabio Baldassarri, The Corner, Roma

Proprio dall’Aventino di The Corner scende invece l’ex Fabio Baldassare: lo chef che ha guidato a lungo Unico a Milano ritorna nella capitale e lo fa ai fornelli della Bottega dei Sapori del punto Carrefour, sempre più gourmet, di Via del Governo Vecchio.

Andando per aperitivi

Dow Jones, cocktail, Romadow jones, roma

Spostandoci sugli aperitivi la situazione già vivace di Roma permette molto.

Monti è il quartiere delle nuove aperture, si va da Tacos&Beer, locale che si accoda allo stile messicano, tendenza internazionale, all’invitante DowJones che si avvale di una proposta food di tutto rispetto: ci ha pensato Luciano Monosilio, stella del Pipero al Rex e della carbonara, che abbina i piatti in ordine di quotazione ai cocktail proposti, rifacendosi al famoso indice.

Distretto Roscioli

La famiglia Roscioli, che con l’apertura del Caffè Pasticceria al posto del Bar Bernasconi, tra via dei Giubbonari e largo Benedetto Cairoli, ha confermato il grande fascino che esercita sul popolo romano (grazie a qualcosa come un’ottantina d’anni di panificazione nel forno a Campo de’ Fiori e una salumeria-bistrot sempre molto frequentata), non si ferma.

bolla su bolla, roscioli

Apre in Piazza di Montevecchio, poco distante da Piazza Navona, in quelli che erano i locali del NO.AU (avventura poco fortunata che vedeva insieme Teo Musso di Baladin e Leonardo Di Vincenzo di Birra del Borgo, oggi nemici-amici), Bolla su Bolla, una “champagneria conviviale”, o se preferite uno shop temporaneo (chiuderà il 1° settembre) dove degustare alla mescita champagne e birre artigianali, accompagnati da crudi di pesce, pane, pizza e specialità gastronomiche.

Sbanco, invece, l’abbiamo già testato: dopo le pizze di Sforno e Tonda, i trapizzini di 00100 Stefano Callegari l’ha fatto di nuovo.

Fuori porta

Nemmeno nei dintorni della Capitale mancano le sorprese. Lele Usai chiude il Tino, stellato Michelin sul litorale ostiense e si trasferisce a Fiumicino con cambio nome annesso: sarà Quarantunododici, e alloggerà nei locali dell’ex prestigioso Nautilius.

4112, lele usai

Un progetto ambizioso dal nome misterioso che sarà bistrot, bar e centro benessere.

Soffermiamoci adesso su Boma della Marcigliana.

Country House a una ventina di minuti dal centro di Roma, sarà la prima oasi di benessere appena fuori dal raccordo anulare, è la nuova avventura di Stefano Mucci (già proprietario della pizzeria Emporio): 18 stanze con ristorante gourmet e scenica veranda che si avvale di un consulente prestigioso come Riccardo di Giacinto (ex di All’Oro, in attesa di riapertura), che proporrà un menu di territorio.

[Crrediti | Link: La Cucina Italiana, immagini: Roma in cucina, Vincenzo Pagano]

Tricolore Panini: marketing e mercato (Testaccio)

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Sono qui a parlarvi di due prime volte (quasi) assolute.

Non era ancora capitato che un autore scoprisse, poco prima della pubblicazione da parte di Dissapore del suo post sul tema Tricolore Panini al Mercato Testaccio di Roma, che le foto scattate e (a questo punto) imprudentemente condivise su Facebook venissero utilizzate senza nulla chiedere da un altro sito, quello del Gambero Rosso, per un post sullo stesso tema. Scusate il predicozzo ragazzi ma è abbastanza frustrante.

L’altra prima volta, anzi quasi prima volta, è la presenza di quattro dispencer per panini gourmet.

Per i pochi che ancora non l’avessero notato, romani o turisti che siano, il Mercato Testaccio sta diventato una delle corti del gusto più appetite da chi vive e respira cibo, da chi pratica il culto insomma.

Non scopriamo certo ora i mercati conviviali e gourmet, anzi sono una saturazione che non ci basta mai.

Definiamoli mercati 2.0 o semplicemente una buona idea nata dal recupero urbanistico e infarcita di street food, gli è che sfiziarsi con un panino, un supplì o una Cups (coppette in stile gelato riempite con tortellini, zuppe o insalate dalla chef stellata Cristina Bowerman) è ormai una piacevole abitudine.

tricolore testaccio dispencertricolore testaccio dispencer

Ultima arrivata nel mercato, al box 2, è Veronica Paolillo, che dopo sei anni di Tricolore Panini in via Urbana (zona Monti) ha deciso di chiudere il locale di cui Dissapore parlava quando era ancora Tricolore Monti (talk of the town capitolino nel lontano 2011) e trasferirsi armi e bagagli a Testaccio.

In realtà il banco aprirà soltanto a fine mese – si parla del 31 maggio – ma in occasione dell’Open Day di sabato scorso si è presentata con un’idea che ha rubato la scena.

Il dispencer di mini-panini gourmet, appunto.

Per capirsi: panini da un paio di morsi o poco più avvolti in una sottile carta per alimenti che mantiene profumi e sapori, inseriti prima dentro piccoli involucri di plastica poi dentro un dispencer in stile distributore di caramelle anni Sessanta.

Con due euro e un giro di manovella il mini-panino è vostro.

tricolore testaccio pulled porkTricolore Paninitricolore testaccio lattariniTricolore Panini

Come detto l’idea dei panini nel dispencer non è nuova e porta con se un filo di scaramanzia. E’ la stessa, riveduta e corretta, che Veronica Paolillo ha usato sei anni fa in occasione del debutto in via Urbana.

Seicento mini panini preparati e panificati nelle prime ore del mattino per approdare ancora freschi nei distributori in due versioni miniaturizzate per l’occasione dalla Paolillo. Tocco hipster per i carnivori con il modaiolo Pulled Pork e Lattarini per chi preferiva il pesce.

pulled porkpulled porktricolore paniniTricolore paniniTricolore panini

Peccato che le scorte siano durate giusto il tempo di solleticare l’appetito, per degustare di nuovo i mini-panini e tutto il resto del menu che Tricolore Panini, format sempre originale e innovativo, dispenserà al mercato di Testaccio bisogna attendere fine mese.

Quando scopriremo se il progetto di Veronica Paolillo, fare del banco a Testaccio il primo di una piccola catena Tricolore nei mercati italiani, ha gambe solide su cui poggiare.

Caffè, Salumeria e Forno: Roscioli, il triangolo della tentazione

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La Carbonara migliore di Roma si mangia da Roscioli (voi sapete che ho ragione ma non volete arrendervi, non volete darmela vinta). Parlo della Salumeria Roscioli, a via dei Giubbonari, quella che vi strema l’appetito già da fuori con la vetrina: prosciutti interi, salmoni selvaggi affumicati dall’Alaska, formaggi, un’infilata di vini da vertigini.

Qualcuno pensa che cenare in un negozio di alimentari, scuro come un quadro di Caravaggio e in una certa misura decadente sia una soluzione bizzarra. Prima cenate da Roscioli poi ne riparliamo.

La salumeria è l’atto secondo dei Roscioli nella capitale, la cui storia inizia nel 1972 con l’acquisto del forno di Via dei Chiavari, lì vicino.

Tracciare l’identikit del Forno Roscioli? Molto semplice per i romani: quello che con l’odore di pane appena sfornato profuma tutta Campo de’ Fiori già alle 5 del mattino.

Tracciare l’identikit della famiglia Roscioli oggi? Facile anche questo: quattro generazioni di una stirpe partita da 11 fratelli marchigiani, che a parte le panetterie di piazza Vittorio (specializzata in pizza e mortadella o pizza con la porchetta) e sulla Tuscolana, vi intrappola subdolamente in una specie di triangolo della tentazione:

vertice alto il FORNO
lato sinistro la SALUMERIA
lato destro il CAFFE’ a Largo Benedetto Cairoli.

(E per il momento silenzio sulla champagneria “Bolla su Bolla”).

VERTICE ALTO: Forno Roscioli.

Forno RoscioliForno Roscioli paneForno Roscioli pizzaForno Roscioli dolciForno Roscioli, dolci

Nel tempio di Pierluigi Roscioli gli habitué praticano il culto dell’inarrivabile Panettone del panettiere: lievitazione naturale e pochi aromi. Si trova anche fuori stagione.

Pane, panini, rustici, piatti pronti e un angolo dedicato a salumi e vino: il forno è un piccolo mondo autosufficiente.

Dagli spazi ormai angusti del laboratorio escono 15 quintali di pane al giorno, incluso il celebrato pane in cassetta fatto negli stampi americani portati 60 anni fa dal mitico zio Franco.

Due i lieviti utilizzati: uno a ph costante per il pano bianco, l’altro acido, ricavato dall’acqua delle patate, per il pane rustico. Alcune pagnotte, anche integrali, sono piccoli capolavori: alveoli uniformi e ben distribuiti, croste croccanti, mollica umida e pastosa.

LATO SINISTRO: Salumeria Roscioli.

Carbonara RoscioliAmatriciana kit RoscioliAmatriciana RoscioliRoscioli ristoranteRoscioli, Selezione di prosciutti italianiAlessandro Roscioli

Aperta nel 1991, si trasforma per diventare ristorante nel 2002. La carbonara come detto è la migliore di Roma (c’è pure in versione da asporto, un kit per il gourmet smaliziano e fashion-victim composto da pasta Verrigni, uova di Paolo Parisi, guanciale fresco messo sottovuoto, pepe di Sarawak e pecorino romano Dop).

Oggi è un lungo cunicolo infarcito di prelibatezze dove senza prenotazione non mangi, e qualche fortunato ordina al telefono bottiglie da 5.000 euro.

Per fare qualche numero: enoteca da sogno con 2.500 etichette, 300 formaggi diversi, 100 varietà di salumi e un centinaio di conserve. “Che all’inizio comprava soltanto Stefano Bonilli”, si schernisce Alessandro Roscioli parlando del compianto ex direttore del Gambero Rosso, che aveva eletto la salumeria a propria residenza privata.

Solo prodotti di grandi artigiani italiani e non, un modello che ricorda le famose gastronomie metropolitane come Dean & DeLuca a New York. Anche nei prezzi non esattamente per tutti.

LATO DESTRO: Caffè Roscioli

Caffè Roscioli, Romacaffè RoscioliCaffè RoscioliDolci Caffè RoscioliCaffè Roscioli

Il locale si sviluppa in lunghezza diviso tra zona giorno e sala interna, anticipato dalla solita vetrina killer traboccante lievitati, stavolta, in arrivo dal laboratorio retrostante. Tipiche pastarelle romane come gli irresistibili maritozzi alla panna e offerta salata con panini e sandwich.

Entro e chiedo un caffè. “Quale?”, mi sento rispondere?

I Roscioli si sono dotati di una macchina doppiometodo in grado di gestire miscele diverse, dunque con temperature e pressioni differenti. In pratica, riuniti nel corpo unico della macchina (ce ne sono 5 al mondo) si trovano un blocco a pompa napoletana manuale e l’altro a pompa volumetrica.

Niente male l’offerta dei caffè. La rotazione propone miscele diverse in base alle stagioni, spiccano quelle di Gianni Frasi, specie il Caffè delle Terre Alte di Huehuetenango, Presìdio Slow Food del Guatemala.

Giusta attenzione anche per il mondo del caffè filtro con miscele a tostature diverse e la presenza del V60, lo strumento a forma di “V” con un’ampiezza angolare di 60° (da cui il nome) che distilla il caffè attraverso un filtro di carta precedentemente inumidito.

Caffè Roscioli Club SandwichCaffè Roscioli drink

Protagonista della sala interna, defilata rispetto ai ritmi della caffetteria, è il tavolo sociale da 8-10 persone utilizzato per cene private, degustazioni, soprattutto per l’aperitivo. Vini, salumi, ostriche della Normandia, formaggi tipici, frutti di mare, taglieri e tramezzini.

Per me Club sandwich e Bloody Mary, grazie. (Qui si prepara con pomodori confit e con il fondo bruno che s’impara nella prima lezione di ogni corso di cucina. E’ strano, pungente, saporito).

Potrei chiudere la giornata in gloria degustando champagne alla mescita o una birra artigianale da Bolla su Bolla, la “champagneria conviviale” e temporanea (chiude il 1° settembre) aperta dai fratelli Roscioli in Piazza di Montevecchio, poco distante da Piazza Navona. Magari aiutandomi con un crudo di pesce.

Potrei, ma anche alla resistenza di un assaggiatore impunito come me c’è un limite. Poi dovrei riscrivere tutto il post parlando di quadrilatero tentatore. E non mi sembra il caso.

Mama Pasta a Roma: siete pronti per la pasta shakerata?

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Si può insistere sulla solita pizza o ci si può attovagliare per un’esperienza alternativa: a volte atteggiarsi a quelli eccentrici è divertente. A patto che i prodotti chiamati a rispondere alla richiesta del famolo strano stupiscano davvero.

A Trastevere ci prova Mama Pasta, il nuovo posto romano dove la pasta cucinata espressa e abbinata al condimento richiesto viene shakerata all’istante per offrire mantecature convincenti.

Mi spiego meglio: la pasta proposta in vari formati, fresca, secca e ripiena, si abbina a numerosi condimenti, inclusi gli immancabili Amatriciana, Cacio e Pepe, Carbonara. Poi un esperto pasta-tender (?) sbatte tutto vigorosamente nello shaker, come quando il mixologist prepara un Martini cocktail.

Non resta che servire la pasta shakerata in una confezione adatta al consumo all’interno del Mama Pasta oppure all’asporto.

mama pastaMama PastaMama Pasta, confezioneMama Pasta confezioneMama Pasta, asporto

Detrattori, scettici, contestatori dichiarati e perplessi sappiate che le aspirazioni del Mama Pasta, novello parco divertimenti per il trastullo mengereccio delle comitive, non finiscono qui.

Mama Pasta romaMama Pasta, roma

Oltre alla pasta mantecata nello shaker, figlia dichiarata dei Ravioli Shake di Davide Scabin, chef del Combal.Zero di Rivoli, il locale del giovane imprenditore Alessio Bosi, classe 1989, propone la birra spillata con il reverse tap. Il bicchiere poggiato sul dispenser si riempie dal basso.

Mentre i 9 cocktail del menu vengono serviti dentro altrettante bottigliette da portare con sé ovunque si desideri.

Mama Pasta, cocktailMama Pasta, vino e cocktailMama Pasta scarpetta

Ci basterà tutto questo, oltre all’opzione scarpetta (sughi e condimenti da chiedere “assoluti” con pane fresco a parte) per mettere alla prova il nuovo format al civico 37 di via del Moro? 

O barricati dietro le nostre convinzioni gastronomiche reazionarie non ne sentiamo il bisogno, certi che tanto “come noi nessuno al mondo”?

[Crediti | Link: Dissapore, Gambero Rosso]


Il migliore tiramisù a Roma: Pompi vs. ZUM

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Capita a Roma, che il tiramisù sia spesso seguito da un complemento di specificazione. Il tiramisù di Pompi.

Un tiramisù che divide, per buona parte degli indigeni è senza discussioni “er mejo tiramisù de Roma“, ma stando a un agguerrito manipolo di intenditori della capitale gode di un credito che fa sembrare razionale anche chi compra i numeri del Lotto vincenti dai santoni televisivi.

Sostiene il manipolo che quando i romani lo delibano non sentano i sapori, soltanto il gusto della loro stessa convinzione che quel dolce sia proprio speciale.

Nonostante ciò, e nonostante la rivelazione “guarda che è un prodotto industriale neanche troppo riuscito” abbia interrotto più di un’amicizia, il tiramisù di Pompi –classico, alla fragola, banana e cioccolato, al pistacchio, alla nocciola, gusto pinacolada (solo d’estate) o senza glutine– smuove le folle, crea problemi alla circolazione, manda i vigili urbani dallo psicoterapeuta.

Cinquant’anni e non sentirli: 7 punti vendita nella capitale e tonnellate di tiramisù venduto ogni anno.

A sentire il solito manipolo di detrattori è solo perché a Roma manca una vera concorrenza.

Se fosse davvero così allora Pompi dovrebbe iniziare a preoccuparsi.

Perché ora c’è ZUM (Zucchero, Uova e Mascarpone). Perché il tiramisù di ZUM è buono, artigianale per davvero (ogni singolo elemento è preparato nella cucina in Piazza del Teatro di Pompeo, savoiardi compresi), gli ingredienti sono scelti con cura proverbiale, vedi le fragole di Terracina.

Zum RomaZum RomaZum, Roma

Zum accontenta i palati esigenti anche nel design, è un locale gradevole e moderno, originale in particolare il bancone fatto di lamiere sagomate.

Dalle vetrine occhieggiano torte, gelati su stecco e ovviamente tiramisù di ogni gusto e misura, assemblati al momento, con le creme che vengono preparate almeno tre volte nel corso di una giornata.

Avete presente i tiramisù (magari con scaglie di cocco) che stanno nel banco frigo del supermercato in offerta causa imminente scadenza? Vi siete mai imbattuti in quella consistenza gessosa, in quel sapore uniforme e dolciastro? Ecco, il tiramisù di Zum è il contrario, specie nella versione più apprezzata con la crema, i biscotti Gentilini e la crema di nocciole Novi.

Da provare anche con caffè, cioccolato extra fondente e rum, o ancora la variante estiva con la buccia candita di limone e il limoncello, dal gusto fin troppo alcolico.

Va da sé che Zum, aperto in un periodo di massima attenzione al sostenibile, proponga confezioni eco e compostabili.

Zum, Romamascarpone, zum, tiramisuTiramisù, Zumtiramisu, Zumtiramisu zum

Il nuovo locale può creare problemi a Pompi o in un mercato ampio come quello di Roma il problema della concorrenza diretta non esiste?

Vedremo, di sicuro il dolce che oggi è una voce fissa di tutti i repertori di cucina italiana ha trovato a Roma un indirizzo imperdibile, che grazie alla febbrile ricerca di ingredienti freschissimi e alla lavorazione accurata, trasforma il tiramisù nel simbolo di una golosità artigianale e più consapevole.

Non potevo lasciarmi sfuggire la ricetta del tiramisù di Zum, siete pronti con carta e penna?

— Montate velocemente in una ciotola 2 kg di mascarpone (è una bella dose ma vi serve per dare consistenza al dolce, e poi siete bravi con le divisioni), Zum consiglia Mila o Sterilgarda.

— Prendete 13 uova e dividete i tuorli dagli albumi.

— Aggiungete 150 grammi di zucchero nei tuorli e altrettanti negli albumi, montate entrambi.

— Quando i tuorli saranno spumosi e più chiari, aggiungete il mascarpone e montate velocemente.

— A questo punto unite la montata di albumi con una lecca pentole, con delicatezza. La crema è pronta, consumatela responsabilmente (si scherza).

Roma è davvero la città italiana dove si mangia peggio?

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Roma. E i monumenti di qua, le strade antiche di là, la storia del “caput mundi” a destra, la Grande Bellezza a sinistra, sì, sì, tutto vero.

Non c’è bisogno di ripetere le solite storie su Roma e il suo fascino: le conosciamo bene, no? Così come, da italiani, sappiamo che Roma è anche un grande business, e non stiamo parlando certo di Mafia capitale.

Stiamo parlando di turisti. Tanti, tanti turisti, che oltre a bighellonare per parchi e viuzze tipiche, mangiano. Roma si è attrezzata di conseguenza. Soprattutto nella poco nobile attività di far pagare ai malcapitati turisti il sovrapprezzo “estasi e meraviglia romana” che si riduce, in pratica, a un conto raddoppiato.

Roma oggi purtroppo, gastronomicamente parlando, è anche questo. Scrive la stampa più sprezzante che Roma è la città italiana dove si mangia peggio. La sua stessa grandezza, nonché le masse che richiama, ha portato alla moltiplicazione di locali non all’altezza.

L’alta ristorazione della città, nel frattempo, non brilla per crescita o creatività, complice anche la vetrina di Expo che ha catalizzato l’interesse e gli investimenti nel Nord Italia verso un pubblico ritenuto –a torto o a ragione– più  esigente e internazionale.

Ma non basta questo a giustificare un’offerta dove accanto al consolidato primato di ristoranti come La Pergola dell’Hotel Rome Cavalieri (Chef Heinz Beck) o Il Pagliaccio (chef Anthony Genovese), convivono truce mediocrità o il gusto illusorio della convinzione che alcuni locali recenti siano davvero speciali.

Ci sono le eccezioni, poche per la verità, e qualche incoraggiante investimento internazionale in una metropoli poco avvezza al rigore delle grandi catene, vedi Zuma che “crea il casus“: attese febbrili, opening mondano, entusiasmi, invidie e delusioni.

A fare un po’ d’ordine, a provarci almeno, è arrivata l’edizione numero 27 della guida Roma del Gambero Rosso che osa addirittura 650 indirizzi nella sezione mangiare e 800 in quella riservata ai negozi, forse temendo di scontentare qualcuno.

Superfluo dire che i romani lettori di Dissapore sono invitati a dire come la pensano: i giudizi di Roma 2017 sel Gambero Rosso li trovate qui di seguito.

roma 2017, gambero rosso

TRE FORCHETTE ( i ristoranti migliori)

95
La Pergola dell’Hotel Rome Cavalieri | Roma
91
La Trota | Rivodutri (RI)
90
Le Colline Ciociare | Acuto (FR)
90
Pascucci al Porticciolo | Fiumicino (RM)

TRE GAMBERI (la trattoria migliore)

Sora Maria e Arcangelo, Gambero Rosso

Sora Maria e Arcangelo | Olevano Romano (RM)

TRE BOTTIGLIE (le enoteche migliori)

Roscioli | Roma
Trimani | Roma
Del Gatto | Anzio (RM)

TRE BOCCALI (i pub migliori)

Open Baladin | Roma

La novità dell’anno

Per Me – Giulio Terrinoni | Roma

Heinz Beck

Miglior servizio di sala

Il Pagliaccio | Roma

Miglior servizio di sala in albergo

Mirabelle dell’Hotel Splendide Royal | Roma

Miglior qualità/prezzo

Bistrot 64 | Roma
Osteria Bonelli | Roma
Tordomatto | Roma
Satricvm | Latina

Le botteghe del gusto (gli indirizzi migliori per la spesa)

Liberati, Gambero Rosso

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BioSalvati | Cerreto Laziale (RM)
Bompiani | Roma
La Bottega dei Terzi | Roma
Il Gelato | Roma
Bottega Liberati | Roma
Magazzino 23.9 | Roma
Men At Work – Cooperativa Sociale | Roma
Pergamino Caffè | Roma
The Jerry Thomas Emporium | Roma
Santi Sebastiano e Valentino | Roma
Tutto Ghiotto | Roma

[Crediti | Link: Dissapore, Gambero Rosso, immagini: Cataldo Latorre]

Terrazza Termini: cambia volto la stazione di Roma

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Chi se l’aspettava una crostaceria alla stazione Termini? Beh, probabilmente neanche un sea food bar o una seria pizzeria napoletana.

Da oggi invece grazie a Terrazza Termini, il primo spazio che apre al pubblico nell’ambito dei 6.000 mq della cosiddetta Piastra Servizi (l’intera area accoglienza per i viaggiatori in arrivo e partenza), il primo piano della stazione romana si è riempito, almeno sulla carta, di ristorazione veloce di buon livello

Nei 3.000 mq della terrazza accessibili dalla Galleria centrale con scale mobili e ascensori, aperti dalle 7 di mattina alle 23, sono a disposizione dei 450 mila frequentatori della stazione un’area accoglienza attrezzata con sedute, tavoli, wi-fi libero e dispositivi per la ricarica dei cellulari, climatizzazione, toilette e un capillare sistema di videosorveglianza.

Inoltre, come detto, diversi ristoranti da frequentare in attesa del treno, nella pausa pranzo o all’ora dell’aperitivo come Mozzarella Bistrot, Fresco, Freetto ed Eccellenze della Costiera. Entro il mese di luglio si aggiungerà anche Ham. 

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[Crediti | Link e Foto: LaRepubblica]

Roma: Mercato Centrale apre a stazione Termini

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Chi l’avrebbe mai detto. La stazione, quel non-luogo dove si addenta il nulla (qualche merendina mangiata al volo, un panino scartocciato e bricioloso) trasformata in una nuova corte del gusto.

Infarcita di pietanze cucinate secondo la tradizione locale, dove si fa la spesa tra Dop, bio, chef, pizze griffate, centrifugati di carote, tortellini da passeggio e dispenser per il vino.

E’ già successo con la stazione di Porta Susa a Torino. Manna dal cielo per pendolari annoiati e affamati, il Mercato Metropolitano occupa la struttura ottocentesca che fu la fermata dei treni (orario 7.30, 22.30).

E ora l’imprenditore della ristorazione Umberto Montano che a Firenze, nel 2014, ha ridato vita al primo piano del mercato coperto di San Lorenzo, dove dalle 10 di mattina fino a mezzanotte si compra, si beve, si impara a cucinare, si legge, e si mangia naturalmente, esporta il format del Mercato Centrale nella Cappa Mazzoniana di Stazione Termini di Roma.

L’apertura è prevista per settembre, ma il cantiere distribuito su tre piani è già aperto, mentre impazza il toto-bottegai.

Saranno in tutto 2500 metri quadrati con ingresso da Via Giolitti: al primo piano troveranno posto una ventina di botteghe artigiane attrezzate per la consumazione, il piano superiore sarà appannaggio del ristorante con servizio al tavolo Stelle in Strada, dove i nomi noti della cucina romana cucineranno i piatti della tradizione a prezzi popolari (7/10 euro), mentre il terzo piano sarà destinato agli eventi.

Dicevamo del toto-bottegai che impazza a Roma in questi giorni.

Pane e pasticceria da colazione verranno affidati a Gabriele Bonci, ci sarànno il cibo di strada di Trapizzino, la pizza di Romualdo Rizzuti di Sud e i fritti di Pastella.

Non potevano mancare i formaggi di una bottega molto cara ai romani, Beppe e i suoi formaggi, che porterà a Termini rotoli di pane carasau con formaggio e una speciale collaborazione proprio con Gabriele Bonci: la farinata con erborinato o stracchino

Se per il pesce è stata cooptata l’Antica Pescheria Galluzzi, il reparto pasta verrà affidato al Pastificio di Eataly, con Egidio De Michelis.

Infine i dolci: la pasticceria siciliana sarà firmata da Arà e Carmelo Pannocchietti, il cioccolato da Stainer e i gelati da Cremilla.

Prevista anche la presenza di un verduraio romano, Alessandro Conti, che gestirà la bottega di carciofi e puntarelle.

Montano porterà con sé dal Mercato Centrale di Firenze Savini Tartufi, i prodotti vegani di Veg&Veg, gli hamburger di chianina La Toraia.

[Crediti | Link: Gambero Rosso]

Yugo a Roma: cos’è un fusion bar e perché andarci

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Inaugurato l’altra sera a Roma, Yugo è il primo (vero?) fusion bar della Capitale. Quello che secondo copione dovete vedere/provare/assaggiare prima che lo facciano i vostri amici.

Non sta al Pigneto, né ai Parioli o sulla gettonatissima Ostiense, ma in pieno centro, incastrato tra Monti e via Nazionale, a due passi dal Quirinale.

Fusion bar è un concetto semplice a sentire i proprietari, ma scommetto che voi lo troverete un po’ fumoso: “il tramite che unisce intenti, passioni e identità complementari“.

Comunque, anche chi entra con atteggiamento diffidente non può fare a meno di notare che il locale, progettato dall’architetto Danilo Maglio, è di quelli dove fai fatica a trovare l’errore, curato ed elegante come se ne vedono pochi a Roma, nei toni scuri che richiamano l’Oriente, ambientato all’interno del Roman Luxus Hotel, hotel cinque stelle in Largo Angelicum.

Seconda scommessa di oggi: in pochi mesi i romani del centro storico alla ricerca di un locale li posizioni culturalmente, oltre a sfamarli come si deve, eleggeranno Yugo a loro residenza prediletta.

yugo, romaYugo, roma, inaugurazioneyugo, roma, piattiYugo, Roma, Bar

Approfittando della precedente spiegazione di fusion bar, che forse non vi ha entusiasmato, mi permetterei di suggerirne una spendibile all’ufficio stampa.

Fusion, non solo per la mescolanza di prodotti, ma come fusione delle personalità che Yugo lo hanno fatto nascere e crescere, provenienti da settori diversi eppure accomunati dallo stesso approccio:

— lo chef, Anthony Genovese, due stelle Michelin per il ristorante romano Il Pagliaccio

— gli imprenditori della ristorazione Maddalena Salerno e Marco Del Vescovo (Mézzi e Colbert Villa Medici), insieme a Riccardo Sargeni e Gianluca Sette (CoHouse Pigneto e Terrazza San Pancrazio),

— il barman Patrizio Boschetto che propone bollicine, cocktail, sake e tè robois.

Yugo, RomaYugo, Roma

Il menu di Yugo è diviso in tre categorie a seconda di come viene trasformata la materia prima:

FRESCO” (essenzialmente il crudo ma non per forza, diciamo che la leggerezza è l’ispirazione comune).

VAPORE” (cioè dim-sum, piccoli bocconi tipici della cucina giapponese , in qualche modo paragonabili alle tapas spagnole). 

FUOCO” (preparazioni con cottura espressa).

I prezzi sono accessibili di loro, una bella occasione per chi non ha mai provato la cucina stellata di Anthony Genovese, aiuta ulteriormente la possibilità di chiedere la mezza porzione di tutti i piatti presenti nel menu.

Ma si può semplicemente sorbire un cocktail, magari abbinato alle preparazioni dello chef, una tazza di ottimo tè robois, dedicarsi al sushi, ai dim sun o ai crudi d’autore bagnati con un buon vino della carta. Infine partecipare a una serata animata dal DJ set.

yugo, romayugo, romaYugo, roma, barmanyugo, roma, cocktail

Quindi ricapitolando. Yugo è una versione più spendibile (più spendibile a Roma) dei locali fusion che spuntavano come funghi all’alba del nuovo millennio, ci trovate cultura culinaria, beverage d’autore, poliedricità, prezzi possibili.

(Consigliata la visita agli splendidi giardini della confinante Villa Aldobrandini restaurati di recente e riaperti al pubblico).

Stazione Termini sta diventando una cittadella del gusto?

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E ora, la tendenza di trasformare le stazioni in cittadelle del gusto, con botteghe di cibi, vini e prodotti gastronomici gourmet, è arrivata anche a Roma.

E’ già successo con la stazione di Porta Susa a Torino. Manna dal cielo per pendolari annoiati e affamati, oggi Mercato Metropolitano occupa la struttura ottocentesca che fu la fermata dei treni.

E ora l’imprenditore della ristorazione Umberto Montano che a Firenze, nel 2014, ha ridato vita al primo piano del mercato coperto di San Lorenzo, esporta il format del Mercato Centrale nella Cappa Mazzoniana di Stazione Termini.

Dove dal 15 settembre si prevede l’apertura di una ventina di botteghe del gusto, nell’area che un tempo ospitava la mensa dei ferrovieri.

E in quest’ambito di enogastronomia accoppiata allo sferragliare dei treni, in testa ai binari è stata anche aperta “Terrazza Termini”, una “food court”, un’area di vendita e somministrazione affacciata sui binari. Ed è qui che troviamo Ham Holy Burger, catena di hamburger già nota ai romani visto che nella capitale conta già due punti vendita.

terrazza terminiTerrazza Termini, ham holy burger

Per  attirare il viaggiatore frettoloso, il gruppo Sebeto –proprietario della catena di hamburgherie– ha calato nel suo nuovo ristorante di burger una coppia d’assi a cui difficilmente si potrà resistere, nientemeno che i due guru capitolini della carne e dei lievitati: Roberto Liberati e Gabriele Bonci.

L’offerta, nel nuovo ristorante con vista binari, prevede in particolare l’hamburger Holy, confezionato con carne della rinomata razza fassona piemontese garantita dal Presidio Slow Food “La Granda” di Sergio Capaldo, che si unisce, in un’accoppiata gustosa, al fragrante pane di Gabriele Bonci.

Il viaggiatore frettoloso, quindi, pur sempre nell’ottica di un pasto veloce, potrà comunque contare, nella stazione capitolina, su proposte che vanno  dai 10 euro per un “Holy burger” senza glutine (del peso di 180 grammi circa, con scamorza e anelli di cipolla), ai 12 euro per il burger “Hyperlocal” con manzo della bottega di Roberto Liberati, o ai  14 euro per il burger “Ham Loves Roma” (con uova strapazzate, guanciale con rucola e maionese al pepe nero).

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Ma il menù prevede anche altre proposte: burger  “Crunch” (del peso di 180 grammi, con bacon croccante, scamorza con pomodoro, iceberg e maionese, al prezzo di 11.50 euro), oltre al basico Holyburger  (peso di 180 grammi, con  anelli di cipolla rossa e salsa holy con pomodoro, cetriolo e lattuga, euro 10).

Per chi volesse scegliere una strada diversa da quella della carne oppure accompagnare il burger con un contorno vegetale, il menu di Ham Holy Burger propone insalate, patate e altri sfizi a un costo che va dai quattro ai dieci euro.

Ci sono anche i dolci, e chi lo desidera può portarsi in treno o a casa il gustoso panino chiedendo la formula”Ham Loves Moving”, sempre con  i nuovi pani sfornati appositamente da Bonci  quali  la ciabattina, la baguette prima pietra, il mille semi e la rosetta.

Insomma, in un mondo che si muove, offrire pasti veloci senza però rinunciare al gusto era un atto dovuto, specie in una stazione che ha bisogno di essere riqualificata come Termini.

hamburger ham holy burgerHam Holy Burger, pane bonciRoberto Liberati, ham holy burger

[Crediti | Link: Dissapore, immagini: Paolo Campana]

Fiore a Roma: la convivenza impossibile tra vegetariani e carnivori

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Riunire pacificamente in un stesso locale vegani, vegetariani, crudisti e pure un banco di salumi, con gli immancabili formaggi?

Può sembrare un’impresa impossibile, se non pericolosa, eppure a Roma qualcuno pare esserci riuscito.

Questo qualcuno è Massimiliano Valenti chef di “Fiore, crudo e vapore”, che ha recentemente aperto in Via Boncompagni con tanto di regolamentare terrazza verde in pieno “New York Style”.

L’idea del locale è quasi francescana (pare tiri molto, in questi tempi), vale a dire un’idea “del buono e del bene”.

E se per quanto riguarda “il buono” è auspicabile il riferimento ai sapori del cibo proposto, non si capisce se “il bene” riguardi la cura messa nella preparazione dei piatti o la tentata pacifica convivenza tra vegani e carnivori.

Ad ogni modo, nel locale si trova davvero di che accontentare  tutti i palati, in ecumenico convivio. Non c’è infatti intolleranza, allergia o regime alimentare a cui non venga proposto un degno pasto.

Anche se, nell’ottica del “tutti possono mangiare”, non vengono dimenticati i tradizionalisti, gli amanti del classico menu primo, secondo, contorno e dolce (piatti a 14 €) o dei classici taglieri (dai 9 ai 30 €).

Infatti accanto all’ampia offerta di smoothie con nomi di divinità varie quali Poseidone, Dioniso, Icaro (7,50 € se di dimensione media) e a una notevole varietà di estratti e centrifugati, insalate vegane e vegetariane (10 €), per i seguaci del genere, troviamo anche, ad esempio, i “panieri al vapore” (15 € l’uno), ricchi piatti unici cucinati al vapore modello matrimonio dei tempi andati.

Fiore esternoFiore, roma, internoFiore, roma, sala internaFiore, roma, esternoFiore, roma, banconeFiore, roma, frutta, verduraFiore, roma, esternoFiore, Roma, tavoloFiore, roma, salumiFiore, smoothie

Per quanto riguarda l’ambientazione, terrazza fiorita a parte, il locale è dotato di un ampio spazio ove troneggia  (ormai immancabile) un’ isola centrale  con cucina a vista, il servizio è efficiente senza essere asfissiante, elemento che da solo fa acquistare cento punti in più al locale.

 

Fiore, antipasto crudista

Per quanto poi riguarda l’elemento principale, vale a dire la cucina, abbiamo testato accuratamente il menu, partendo subito con un  tris di antipasti –ovviamente vegani– composto da una tartare di avocado e cetrioli (onesta), spaghetti di zucchina al pesto di pistacchi (notevole) e un raviolo, uno, di barbabietola rossa, che i miei concittadini napoletani classificherebbero senza giri di parole con “sapev e poc” (anche perché, a onor del merito, non si può pretendere troppo da uno zucchino, una barbabietola ed un cetriolo, per quanto abilmente combinati).

Fiore crudo di pesce

Quindi, a seguire,  il crudo di pesce, un ricco piatto con tonno pinna gialla, gambero di Mazara, calamaro (in cui erano finiti anche, inspiegabilmente, alcuni pezzi di gomma da masticare sotto le mentite spoglie di calamaro), ricciola e capasanta.

Fiore, gazpacho di verdure

Il piatto successivo, il gazpacho di verdure con sorbetto al basilico e chips di pane integrale, ci ha sorpreso piacevolmente: il sorbetto stemperava l’acidità della brunoise di verdure (sedano, cetriolo) risultando armonico al palato, il tutto servito a basse temperature che regalavano una marcia in più.

Fiore, tagliolino cacio e pepe

Ma fin qui, l’avrete capito, abbiamo ovviamente scherzato.

Abbiamo iniziato a fare sul serio con  il tagliolino cacio e pepe con guanciale e cipolla rossa fondente, che si sarebbe potuto tranquillamente chiamare con il suo nome, alias pasta alla gricia e che avrebbe potuto fare a meno del pastoso tagliolino a favore di un più consistente spaghetto.

Ad ogni modo, un piatto onesto nel suo insieme.

Fiore, spigola

Poi, la spigola alle erbe fini con patata affumicata, sedano e mela verde ci ha permesso di gustare un piatto amabile, leggero e particolare, grazie anche alla lieve affumicatura e alla nota asprigna della mela, che donava al piatto un equilibrio interessante.

Fiore, tiramisu

Abbiamo finito con il più classico dessert, il Tiramisù, declinato nella versione della casa, vale a dire con gelato. Buono, nulla da dire, ma ancora dobbiamo capire cosa c’entri il gelato, per di più a temperature di congelamento, con il dolce nazionale, e soprattutto se non sarebbe valsa la pena di offrire il dessert nella sua morbida e cremosa versione tradizionale, prevedendo magari in aggiunta un altro dessert a base di solo gelato.

Per tirare le somme, un locale con una grande varietà di piatti e di cucine (tutte buone, tutte lievemente impersonali), da sperimentare anche nell’ampia terrazza con vista sulle verdi erbette coltivate che regala quel “quid” in più di relax al vostro pasto.

Servirà ai vegetariani per salvarsi da pericolose tentazioni quali salumi nazionali e iberici, formaggi italiani o francesi.

Servirà ai carnivori per alleviare i sensi di colpa indotti dai plateau de fruit, le insalate, i centrifugati e gli smoothie con latte vegetale.

Ammesso che entrambi, vegetariani e carnivori, accettino la convivenza.

Fiore, Crudo e Vapore
Via Boncompagni 31
Roma


Dice BuzzFeed che la cucina romana è sottovalutata, ne parliamo?

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Roma. Al solo pronunciarne il nome, frotte di immagini di fontane seicentesche, di palazzi, di monumenti antichi, di storia, di letteratura si affollano nella nostra mente.

Tutto, ci viene in mente.

Tranne il cibo.

Di tutto ciò che Roma si porta dietro come arte, cultura e storia, il cibo sembra essere relegato, quando presente, in un recondito angolino della nostra mente.

2900 anni di storia, dal De re coquinaria di Marco Gavio Apicio alla cucina ebraica del Ghetto (pesce povero, quinto quarto, la cucina del Serraglio), da Bartolomeo Scappi, il cuoco di papi e cardinali che inventò la coda alla vaccinara, alla cucina testaccina di Roma capitale d’Italia, tutto dimenticato, innominato, o per meglio dire… sottovalutato.

Eppure i piatti tipici romani non possono certo essere relegati in serie B, anzi, spesso rappresentano i cardini della cucina italiana.

A ricordarcelo è Alberto Nardelli, romano, editor per l’Europa di BuzzFeed, forse il più popolare sito di news e intrattenimento del mondo che ha fatto della viralità il suo credo a suon di liste, quiz, video, foto di gattini ma anche contenuti giornalistici originali.

cucina romana, buzzfeed

La cucina romana, e laziale più generalmente, è a suo dire ingiustamente sottovalutata, non solo all’estero, ma anche in Patria, non essendo riconosciuto il posto che di diritto le spetterebbe nel panorama nazionale, accanto a cucine rinomate quali quella napoletana, emiliana, siciliana o piemontese.

Ma davvero la cucina romana è così negletta e sottostimata?

Facciamoci un sano esame di coscienza, diamo una rinfrescata alla memoria con una bella carrellata di piatti romani tra i più conosciuti e apprezzati, e chiediamoci  quante volte,  mentre gustiamo qualcuna di queste delizie tipicamente romane, ci ricordiamo che hanno origine in una delle città più belle e vitali del mondo: Roma.

Tutti i migliori piatti di pasta sono di Roma

Amatriciana

Alcuni tra i piatti di pasta più amati  della tradizione italica (e sotto riportati) sono così popolari e diffusi, a livello nazionale e internazionale, da farci spesso dimenticare della loro origine romana.

Se quando parliamo di agnolotti subito pensiamo a Torino e quando parliamo di pizza pensiamo a Napoli, quando parliamo di carbonara o amatriciana il collegamento a Roma, e al Lazio, non è così immediato.

Diamo quindi a Cesare quel che  è di Cesare, e ogni volta che gustiamo una sapida carbonara, una gustosa amatriciana o una cremosa cacio e pepe, ripetiamo mentalmente: Roma, Roma!

Pasta alla carbonara

Chi non conosce la carbonara  e, sopratutto, le molteplici leggende sulle sue presunte origini, che spaziano da ameni raccontini che si rifanno ai carbonari , ai  soldati americani ed alle loro razioni con uova in polvere durante la seconda guerra mondiale?

Favole a parte, nessuno può negare che la carbonara rappresenti “la pasta” tipica  italiana. Ma è soprattutto, cosa che spesso dimentichiamo – o ignoriamo – è  romana “de Roma”. Ricordiamocelo.

Si dice che la qualità dell’ottimo piatto a base di uova, pecorino e guanciale sia inversamente proporzionale alla distanza da Via dei Giubbonari, nel centro di Roma (per via di Roscioli, che fa la migliore della città). Ciononostante, Oldroyd, nella parte Nord di Londra, può essere un ottimo compromesso quando non avete Roma lì, a portata di mano.

Pasta all’amatriciana

Nonostante la ricetta provenga da Amatrice, cittadina laziale a 140 km da Roma, possiamo considerare la gustosa ricetta laziale come un altro simbolo di Roma. Il formato di pasta non è rigoroso, bucatini  e mezze maniche andranno benissimo entrambi, l’importante è che non manchino mai pomodoro, guanciale, pecorino, olio d’oliva e, per i più fantasiosi, un tocco di chili o, per i più tradizionalisti, del nostrano peperoncino.

Niente aglio. Mai!

E soprattutto, guanciale, non il troppo affumicato bacon né la semplice pancetta, troppo delicata. Guanciale, e basta. E anche una cottura non troppo veloce: il sughetto dell’amatriciana deve essere sapido e ben cotto, proprio il contrario di un sugo “sciuè sciuè”; la bontà richiede il suo tempo.

Pasta alla gricia

E per chi ama le preparazioni “in bianco” o non ama il gusto leggermente acidulo di pomodoro e salse varie, ecco la pasta alla gricia: praticamente, una amatriciana senza pomodoro.

Ma non per questo meno buona, anzi: l’assenza del pomodoro farà risaltare maggiormente il gusto del pecorino e dell’olio di oliva.

Pasta cacio e pepe

Niente di più semplice, parrebbe: solo due ingredienti, cacio e pepe. Ma attenzione, dalla semplicità alla banalità il passo è breve: il segreto per un’impeccabile cacio e pepe è un’emulsione perfetta tra un po’ di acqua di cottura della pasta, calda e ricca di amido, con il formaggio grattugiato, cosa non così semplice da fare se siete cuochi alle prime armi: il  rischio di trovarvi un ammasso di formaggio asciutto e per niente cremoso sotto i denti è lì dietro l’angolo e vi guarda beffardo.

Ma se solo riuscirete, con un po’ di pratica, nell’intento, gusterete una piatto squisito, che non avrà bisogno di alcun ulteriore “emulsionante” casalingo come olio o, ancora peggio panna.

Solo tecnica e abilità nel mescolare. E il cacio? Che formaggio sarà mai il cacio? Ma un pecorino – romano, ovvio!

A Roma, la miglior cacio e pepe la gusterete alla trattoria da Cesare al Casaletto. Se invece siete lontani dal raccordo anulare, Padella vicino al Borough Market a Londra, sarà perfetto.

In nessun’altra città i carciofi avranno lo stesso sapore

carciofi alla giudia, fritti

I carciofi sono per noi  italiani una delle verdure più amate e apprezzate. Disponibili sul mercato in genere da gennaio ad aprile, i carciofi vengono spesso utilizzati per insaporire il ripieno di quiche e torte salate, ma quando si gustano “in purezza”, ricordiamo che le due maggiori ricette sono inevitabilmente romane. E manco a dirlo, squisite.

Alla romana

Succosi, carnosi, riempiti con un trito di  aglio, prezzemolo, a volte pangrattato e menta e infine cotti capovolti pian pianino in una casseruola con acqua, olio e un po’ di vino bianco, sono una delizia che non tutti abbiamo assaporato ed apprezzato.

E ovviamente, i carciofi perfetti sono quelli del tipo “romano” o “romanesco”, c’è bisogno di dirlo? 

Alla giudìa

Quello che potrebbe essere un ottimo street food, gustoso e croccante, è una preparazione che deriva da lontano: pare infatti che sia una ricetta risalente ai tempi del “ghetto ebraico” romano.

Ebraici o romani, i carciofi alla giudia sono una vera coccola: privati delle foglie più dure, messi in acqua fredda acidulata, fritti in abbondante olio di oliva e conditi infine con sale, pepe e un goccio di acqua fredda per renderli ancor più croccanti, rappresentano un vero momento di conforto nel nome di Roma, dove li potrete gustare da Giggetto e alla Trattoria Lilli;  oppure, a Londra, al River Cafè, quando di stagione.

Non solo carciofi: a Roma, ogni cibo fritto è una vera delizia

supplì, arcangelo

Fritto,  Fritto,  Fritto.  Le preparazioni fritte già sono di per sé quanto di più appagante esista per le nostre papille gustative, ma quando si tratta di fritto romano non c’è paragone che tenga. Il fritto romano dà semplicemente assuefazione, occorre dire altro?

Supplì

Croccanti, gustosi, sfiziosi, i saporiti supplì con al centro il cuore filante di mozzarella sono uno dei cibi romani più apprezzati  e caratteristici.  Spesso li gustiamo piacevolmente in altre città, ma quante volte ci ricordiamo che i veri supplì sono solo romani?

Fiori di zucca

Delicati e sfiziosi, i leggeri fiori di zucca, riempiti con aglio, prezzemolo, acciuga e poi solo leggermente infarinati e fritti, potrebbero essere il simbolo del fritto romano. Uno tira l’altro.

Il baccalà, o meglio, “er filetto de baccalà”

Può una ricetta essere più semplice e nello stesso tempo più gustosa di questa? Semplicemente baccalà (ammollato), una lieve pastella e via, a friggere in tanto buon olio. Un classico romano che non potrà mai tramontare.

A Roma potrete assaggiarlo, squisito, “Dar Filettaro”, ma anche al “Harry’s Bar” di Venezia ne servono una versione che è ormai un’istituzione.

Spiacenti, Napoli, la miglior pizza al taglio è la romana

pizzarium, roma

Tranquilli, amici napoletani, nessuno vi vuole scippare il titolo di padri della pizza. O almeno di quella classica, di forma circolare, la classica “napoletana”.

Ma se parliamo di pizza al taglio, o “in teglia”, la pizza romana non la batte nessuno: sottile, croccante, e declinabile in una infinità di condimenti e farciture è una squisitezza che parla romano, non dimentichiamolo.

Angelo e Simonetta, in via Nomentana, sono veri campioni  di pizza al taglio: un must. La loro focaccia con stracchino, pancetta, prezzemolo e olio d’oliva è una delle sette meraviglie del mondo gastronomico. A Londra, ne potrete gustarne una altrettanto buona  da Arancina. Quella con salsiccia e patate, poi, è semplicemente mostruosa

Anche le insalate a Roma sono eccezionali

puntarelle

Si fa presto a dire “insalata”, con aria di sufficienza (in effetti…). Ma se  c’è un luogo dove l’insalata acquista una dignità di piatto, e gustoso, quel luogo è Roma.

A Roma, l’insalata è sapida, gustosa, semplicemente… buona. E spesso ha il nome di  Puntarelle alla Romana.

Puntarelle alla romana

Le puntarelle sono una varietà di cicoria. Con il loro gusto leggermente amarognolo, una volta lavate e affettate sottilmente e condite con olio, aglio acciughe, sale e pepe, sono una delizia per il palato,  che vi farà dimenticare di mangiare una semplice “insalata”.

Nessuno farcisce i pomodori come i romani

pomodori ripieni

Pomodori ripieni di riso, un classico, certo. Ma solo a Roma li cucinano su un letto di squisite patate arrosto, in un connubio di sapori che vi sorprenderà. Targato Roma.

I pomodori sono riempiti con il riso, preventivamente bollito per una decina di minuti, e messi in forno ad arrostire con le patate. Solo una regola: i pomodori devono essere arrostiti sopra le patate. Non dimenticatelo.

Doughnut alla romana

Caffè Roscioli, maritozzo panna

Nella loro versione internazionale sono “doughnut alla romana”. Ma noi sappiamo bene che sono gli squisiti maritozzi.

Morbide, dolci, soavi brioche spesso farcite con leggera e voluttuosa panna: la classica colazione romana. A Roma li potrete gustare, ottimi, nel Caffè Roscioli. E se volete farvi del male, provate la “bomba”, con Nutella, oltre alla panna: una vera delizia.

Ecco questi i piatti più conosciuti, più apprezzati, gustati e, forse, da noi relegati ingiustamente a un anonimato regionale 

Mercato Testaccio a Roma: il meglio che si compra con 50 euro

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L’Italia si sta allineando alle città del Nord Europa in cui il “mercato con cucina” è una realtà assodata. Un modo accessibile per comprare e mangiare bene.

Nuove corti del gusto nate dal recupero urbanistico e infarcite di street food dove mangiare pietanze cucinate dalle botteghe secondo ricette della tradizione locale, o dove fare la spesa tra Dop, bio, chef, pane e la pizza a base di lievito madre, pesce fresco, estratti di frutta, i formaggi e salumi tipici, tortellini da passeggio e dispenser per il vino.

Così scrivevamo alcuni mesi fa presentandovi i 7 mercati italiani dove mangiare e fare la spesa, tra questi spiccava il Nuovo Mercato Testaccio.

Il modo che Dissapore s’è inventato per raccontarvi il mercato romano, è di misurare il potere di acquisto dei nostri sudati risparmi. Vale a dire, quali specialità riusciamo a portarci a casa da una visita al Nuovo Mercato di Testaccio con un budget di 50 euro?

(Ricordate? Avevamo fatto la stessa cosa per El Bocon del Prete, gastronomia di Bassano del Grappa e luogo di culto gastronomico per gli appassionati).

1. PANINO CON L’ALLESSO

Mordi e vai! (box n.15)

3.50 euro

panino allesso

Premessa: c’è chi a Testaccio va per fare la spesa e chi, proprio grazie a questo box, ha scoperto che nel mercato si fa (anche) la spesa.

Perché Sergio Esposito, a forza di citazioni sulla stampa di settore (non solo, ne ha parlato anche il New York Times) e rivisitazione della cucina romanesca, è diventato il simbolo dello street food locale, con il suo celebre panino con l’allesso.

Una specie di lampredotto “de noaltri”, con il panino morbido a forma di ciabatta pucciato nel brodo della carne lessa, che in questo caso è la scottona (bovino femmina che non ha mai partorito: carne scelta, manco a dirlo).

Noi prendiamo quello che Esposito definisce il suo cavallo di battaglia: la versione con cicoria ripassata, che alza il prezzo di 50 centesimi. Non fatevi scoraggiare da coratella, rognoncini e trippa alla romana, provatelo, ne vale la pena.

2. PANE AI CINQUE CERALI CON I SEMI

Romeo all’Emporio (box 33 e 42)

9 euro al chilo

romeo testaccio

Partiamo dall’essenziale: il pane. Ci rivolgiamo al forno di Cristina Boweman, stella Michelin per Glass Hostaria, nel cuore di Trastevere) che illumina anche la bancarella del mercato di quartiere con Cups: piatti caldi e freddi in vaschetta, anzi, meglio: in versione da passeggio.

Il suo emporio al mercato è anche gelateria, bottega e panificio.

Poche pagnotte ma ipnotiche: ciriole, ciabatte, baguette e filoni. Il “rustico” è fatto con farina semi-integrale macinata a pietra (Bowerman ci spiega che il fornitore è Molino Iaquone, tra i produttori delle 10 farine senza rivali di Dissapore) e ha minimo 12 ore di lievitazione. E questo è solo il pane di partenza.

Noi scegliamo due pagnotte ai cinque cerali con i semi anche all’interno (non solo in superficie), belle piene di grassi insaturi come piace a noi.

3. MACCHERONI DI SEMOLA SENATORE CAPPELLI

Le mani in pasta (box 58)

15 euro al chilo

MERCATO TESTACCIO

Dopo vent’anni da chef Alessandro Proietti si è messo a preparare pasta fresca tra banchi di ortaggi e caramelle sfuse. Va detto che si fa pagare (come molti altri nei box del mercato) ma come si dice: tutto è relativo.

Esempio: con 5 euro si passeggia davanti alla Piramide Cestia mangiando una cacio e pepe di quelle vere, e la pasta fatta a mano.

Resistendo a ogni tentazione ci ricordiamo di essere qui per fare la spesa. Optiamo per i maccheroncini di semola Senatore Cappelli, tra mezzelune ripiene di ricotta e pistacchio di Bronte, pici al farro e strangozzi di Kamut.

Con 4.50 euro prendiamo una dose per due abbondante, che avremo cura di cucinare a casa con tutti i crismi, dato il pregio del grano antico.

4. GAMBERETTI DI ANZIO

Pescheria Mastroianni (box 94)

22.90 al chilo

mercato testaccio

I crostacei non si fanno apprezzare solo al Sud. I gamberetti, per esempio, sono dolcissimi anche in territorio laziale.

Secondi per notorietà ai gamberetti di Terracina, quelli di Anzio si trovano al box della Pescheria Mastroianni, che li vende già sgusciati e puliti.

45 euro al chilo (nemmeno troppo, se considerate la percentuale di scarto dei gamberi, circa il 60%..) per il frutto di mare duro e puro.

Fate finta di cuocerli, giusto una sbollentata, e preparerete insalate non facilmente dimenticabili.

5. PROSCIUTTO CRUDO AFFUMICATO

Mania del gusto (box 84)

34.90 al chilo

testaccio mania del gusto

Al Mercato Testaccio ce lo indicano come “Il norcino”, benché la carne venduta da Mania del gusto sia già macellata e lavorata da altri.

Dalle coppiette (strisce di carne di maiale essiccate tipiche della zona dei Castelli romani) alla porchetta, il livello dei prodotti venduti dalla bottega è elevato, la nostra attenzione però cade sui cosci di crudo tagliato a mano.

“Puntate al ‘mejo’ dritti dritti”, ci dicono: un San Daniele stagionato 16 mesi, a cui l’affumicatura ha levato ogni sdolcinatura. Ce lo rubiamo con gli occhi ma ne compriamo solo un etto e mezzo (vedi alla voce “fioretti per Dissapore”). Paghiamo lo sfizio da tagliere per due 5.70 euro.

6. AFFETTATO DI LUPINO

Vegan store (box 83)

30 euro al chilo

vegan store testaccio

Stabilire una liaison tra gusto e veganesimo, ancora tutta da scrivere, è l’ambizione di questo piccolo paradiso “cruelty free”: non c’è traccia di animale negli alimentari che sommergono il box.

Anzi, la “pizzicheria vegana” (auto-definizione) che smercia a prezzi sorprendenti farine biodinamiche, riso venere sfuso e panini ripieni con tutto ciò che sembra derivato animale ma non è. C’è perfino un non parmigiano, ed è squisito.

Assaggiamo un affettato di lupino che si rivela un concentrato di umami delizioso, ne prendiamo un etto abbondante per 3,30 euro.

Da provare anche i dolci artigianali in vetrina.

7. ROSSO MERLOT IGT

Vini sfusi e alla spina (box 7)

2,50 euro al litro

vino sfuso testaccio

Si può dire? Chi a Roma cerca vino sfuso che si lasci bere volentieri, non va certo a colpo sicuro.

Al box 7 ci hanno sorpresi, con spine di prosecco sfuso a 3.5o euro al litro e grappe alla mescita “Per quelli che esagerano con lo street food”.

Con una bottiglia intera rischiamo di andare fuori budget (da queste parti sono buone, non di quelle acchiappa-turisti che circolano per il centro storico, con la lupa in etichetta) così, dopo una rapida degustazione nei bicchieri di plastica, ci facciamo spillare dalla botte in acciaio il vino migliore: un litro e mezzo di Merlot (per 4 euro). La produzione è a pochi chilometri: Cantine d’Offizi, Gallicano del Lazio.

8. ESTRATTO DI FRUTTA

Zoè (box 59)

Dai 2.50 ai 4.50 euro

centrifugato testaccio

In realtà da Zoè, street food e asporto di insalate, macedonie & Co, volevamo provare il succo di melograno.

Ma Matteo Alba, titolare del box insieme alla sorella Maria, ci spiega che questo non è il momento, dilungandosi (molto) sull’importanza della stagionalità. Buon segno.

Le mele che lavora vengono da Amatrice e le arance da un’azienda agricola bio della Sicilia. Ma gran parte della materia prima fa giusto la strada tra i box dell’ortofrutta e l’estrattore.

Scegliamo ananas, pesca, anguria e zenzero (misura media: 3.50 euro) con un rimorso enorme per i tanti centrifugati acquistati in passato nel cuore della Capitale, cari come il fuoco e buoni la metà.

9. PECORINO ROMANO

Romeo all’Emporio (box 33 e 42)

17.90 euro al chilo

DSC_0016Avremmo potuto dire “Caciocavallo affinato nelle grotte di tufo” (a 23 euro al chilo), perché da Romeo all’Emporio di chicche casearie se ne trovano parecchie.

Ma scegliamo il pecorino romano, visto che trovarne di autoctono non è per niente facile (il disciplinare prevede che possa essere prodotto in Sardegna, in Lazio e in provincia di Grosseto).

Comunque, al di là della provenienza, è formaggio gradevole che si fa 18 mesi di stagionatura nel viterbese, dentro le celle della Fulvi, di Nepi.

10. FRIGGITELLI

Fuori di Zucca (box 82)

2 euro al chilo

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I friggitelli, tipici dell’Italia centro-meridionale, sono peperoni in miniatura dal sapore concentrato. A differenza dei peperoni non si puliscono all’interno; si sciacquano e si tuffano con tanto di picciolo nell’olio bollente.

Proprio per questo si chiamano friggitelli.

11. MISTICANZA

Ortofrutta Marco e Mattia (box 50)

2 euro al chilo

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La rassegna dell’ortofrutta a km. zero prosegue con un prodotto che di strada non può farne più di tanta.

Trattasi di misticanza, mix di bieta, cicoria e insalata (indivia e scarola) auto-prodotta ai limiti della città eterna. E’ saporita, fresca e amarognola, in uno slancio di ottimismo ne prendiamo più di un chilo (2.15 euro), ripromettendoci di finirla entro due giorni, e comunque prima che inizi a sembrare erba calpestata.

12. ALBICOCCHE

Da Filippo (Box 81)

2 euro al chilo

testaccio pecorino

Frutta morbida che non si spappola, dolce, con la punta di acido non invadente che l’albicocca dovrebbe avere. Ancora sporca di terra, con il contadino che ci guarda dietro le cassette: poca scelta, ma è tutta roba sua.

La provenienza è Marina di Minturno, in provincia di Latina.

LIMONI

Giancarlo il Velletrano (box 32)

4 euro al chilo

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“Massì, facciamo tre”. E ci ritroviamo subito con una chilata di limoni Sicilian Style, enormi, con la scorza spessa e un succo che riempie un bicchiere di spremuta.

Chi lo immaginava che a Velletri crescesse roba del genere.

Il meglio che si compra da Gabriele Bonci con 50 euro

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Pizza al taglio. Se c’è qualcuno che ha dato lustro e dignità a questo tipo di pizza fino a pochi anni fa considerata sbrigativamente una banale pizza “da panetteria” collocata solamente mezzo scalino al di sopra del semplice pane, quel qualcuno è Gabriele Bonci.

Nessuno avrebbe osato pensare che l’umile pizza al taglio avrebbe mai potuto competere con la “vera” pizza, quella napoletana, il suo consumo era associato all’idea di sfizio veloce, di cibo da strada adatto più che altro a placare morsi di fame improvvisi.

Non all’autentico piacere di gustarsi una buona pizza.

Ma dopo l’apertura di “Pizzarium”, a Roma, nulla è stato più come prima.

Da quando cioè Bonci, nel 2003, ha cominciato a sfornare i ricchi tranci nel suo locale, la pizza al taglio ha conosciuto un successo irrefrenabile, e il Pizzarium è diventato meta di appassionati provenienti da tutta l’italia.

In effetti, la pizza al taglio di Bonci non è semplica pasta di pane variamente condita: alta, morbida, interamente prodotta con farine biologiche, è una pizza il cui impasto viene lasciato a maturare in frigo per quasi 24 ore, durante le quali non solo si arricchisce dei profumi e dei sapori che solo un lungo riposo riesce a dare, ma risulta anche aromatica e digeribile, con un interno ben alveolato e una consistenza morbida ma fragrante nello stesso tempo.

Le ricche farciture, con ingredienti selezionati dallo stesso Bonci, contribuiscono a fare di ogni trancetto una vera golosità che nulla ha da invidiare alla classica napoletana.

Proprio per questo Dissapore ha assegnato a Gabriele Bonci ed al suo Pizzarium il titolo di miglior pizzaiolo al taglio d’Italia.

Ma non solo: Bonci ha anche aperto, sempre a Roma, nel quartiere Prati, un altro locale, tutto dedicato al pane, ai lievitati e alla biscotteria, “Il Panificio”, un vero tempio del pane in tutte le sue forme: pane azzimo, pane senza lievito, “pane nostrum”, (cioè con farina di grano Tumminia).

E anche la classica “pizza bianca”, poi golosità assortite quali croissant, crostate, biscotti e plum-cake, tutti sfornati dall’ormai diventato punto di riferimento per i lievitati della Capitale.

Bene, per testare questi prodotti, ma ancheer dar seguito alla voce secondo cui i prodotti di Bonci avrebbero un prezzo eccessivo, Dissapore è tornato in entrambi i punti vendita del pizzaiolo romano, sia Pizzarium che Panificio, per toccare con mano cosa si riesce a portare a casa con un budget di 50 euro.

IL PANIFICIO

Ciò che colpisce, come prima cosa, nel Panificio di Bonci, è l’aroma. Il profumo di vaniglia, di agrumi, di burro che pervade tutto il locale.

Infatti, uno dei segreti dei dolci di Bonci che possiamo trovare nel Panificio, è dato proprio da un aroma che lui stesso prepara, una sorta di purea a base di burro aromatizzato con bacche di vaniglia, arancia e bergamotto, che dona alle sue preparazioni un profumo ed un sapore  inconfondibili.

Anche per merito dell’ottimo burro, proveniente dal mitico tempio romano “Beppe e i suoi  formaggi” (tra l’altro, considerato da Dissapore tra i 15 migliori negozi per nerd di formaggi).

base dolci bonci

Proprio questo particolare aroma è ciò che rende speciali i croissant del Panificio, qui chiamati “cornetti”: una bontà che vi porterete a casa con 1.20  euro al pezzo.

1. CORNETTO ALL’ITALIANA

1.20 a pezzo

cornetto bonci

Ed è proprio assaporando questi “cornetti” che vi renderete conto che il burro, il burro buono, fa veramente la differenza, e chi dice che la margarina dà lo stesso sentore senza contenere i nefasti grassi saturi del burro, o non capisce nulla o mente sapendo di mentire: l’aroma di burro si imprimerà, deliziandovi, nel  profondo nei vostri sensi,  nelle vostre papille e nelle vostre narici, e il vostro palato non avvertirà la benché minima  traccia di di unto.

Inoltre l’abbondanza di burro e uova dona una particolare  fragranza e consistenza,  dando luogo a dei croissant che si sciolgono  in bocca, delicati e leggeri.  Imperdibili.

E infatti, ce ne portiamo a casa  ben  quattro –  non si sa mai –   per 4.80 euro di spesa.

2. CROSTATA DI VISCIOLE

4.50 euro a pezzo

crostata visciole bonciCROSTATA VISCIOLE BONCI

Una frolla profumata e fragrante, fatta con sola farina di farro, ricca di burro di ottima qualità e ricoperta da un generoso strato di confettura di visciole –piccole ciliegie dal gusto piacevolmente acidulo– fa di queste crostatine una vera delizia, che non vi farà certo rimpiangere quelle di mulini industriali vari. Anche per la dimensione, notevolmente maggiore.

Del tutto assente anche lo zucchero bianco raffinato, a favore di zuccheri più grezzi e aromatici.

3. PLUMCAKE DI ENKIR

6 euro per pezzo

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Non poteva mancare un prodotto a base di farina di enkir, o piccolo farro, o monococco, un cereale a basso contenuto di glutine considerato tra i più antichi e già coltivato 10.000 anni fa in Medio Oriente.

Naturalmente resistente ad agenti patogeni e parassiti, è il cereale biologico per definizione, non necessitando di chimica di sintesi per la coltivazione, ed è inoltre associato a un alto valore nutrizionale, dato dal suo 18% di proteine e antiossidanti.

La sua preziosità è data dalla difficoltà di raccolta e lavorazione, essendo la spiga molto più piccola del comune e con una resa nettamente inferiore agli altri cereali.

Farina che dona a questo plum cake color giallo-oro –colorazione data proprio dalla  particolare farina di enkir– un gusto gradevolissimo e accattivante.

Il suo peso, poco minore di mezzo chilo, ne fa un piacere da concedersi per diverse colazioni o merende.

4. PANE AL FARRO

7 euro al pezzo

PANE FARRO BONCI

Dieci euro al chilo non sono tanti se considerate il tipo di  farina –esclusivamente di farro delle migliori coltivazione biologiche–  ma anche il lievito utilizzato, lievito madre a base di sola farina di farro, assicura Bonci, “per non prendere in giro i clienti, alcuni dei quali potrebbero pure essere intolleranti al grano tenero”.

Non per nulla nel suo laboratorio Bonci utilizza ben sette lieviti naturali differenti, ognuno destinato a un tipo specifico di pane.

Lieviti naturali  che donano una particolare e compatta consistenza a questo pane, che vi sazierà senza dovervene riempire con dosi industriali e che si conserva fragrante per quasi una settimana.

Con la stessa farina di farro, e relativo lievito, vengono prodotti anche gustosissimi croissant.

5. FOCACCIA

16 euro al chilo

focaccia bonci

Aromatica e saporita, per via del rosmarino.

Soffice, per via dell’impasto con patate.

E gradevolmente leggera.

C’è da aggiungere altro?

Con 8 euro, inoltre (l’equivalente di mezzo chilo) riusciamo a portarcene a casa un bel po’.

Ma dopo questo giro nel mondo dei lievitati –dolci e salati– targati Bonci, ci spostiamo nell’altro suo regno, quello “vero”: il Pizzarium, tempio della pizza in teglia in tutte le sue gustose declinazioni.

6. PIZZA

Dai 20 ai 45 euro al chilo

bonci pizza

La tarda mattinata, poco prima dell’apertura, è il momento clou in cui nel laboratorio del Pizzarium il lavoro raggiunge ritmi febbrili, con un Bonci impegnato a impartire ordini e disposizioni alla sua brigata  per arrivare, al momento dell’apertura, con tutte le pizze cotte e ordinatamente esposte.

Ordini che gli indaffarati componenti della brigata eseguono con maestria e sveltezza fuori dal comune, e con altrettanto olio di gomito.

Può capitare di sentire Bonci che chiede “lo sai disossare un coscio di pollo?” mentre con abilità spadella una tagliata di vacca vecchia, che rigorosamente al sangue finisce a fette spesse un centimetro sulla pizza, accanto a pomodorini paccatella.

bonciboncibonci pizza

Forti dei nostri quindici minuti di vantaggio sulla clientela, già appostata in trepida attesa di fronte alle serrande abbassate, ci scegliamo cinque tranci di pizza capaci di riassumere (quasi)  tutta  la gamma di sapori  che offre Pizzarium.

Per avere un’idea dei prezzi, sappiate che la pizza al pomodoro vi costerà circa 20 euro al chilo, mentre quella all’uovo e bottarga, la più pretenziosa, potrà arrivare ai 45 euro.

Noi abbiamo speso circa 15 euro, suddivisi tra tranci di pizza con farciture varie, ognuno del peso di un etto e mezzo, con prezzi variabili tra i 20 euro al chilo della pizza al pomodoro e i 45 di quella all’uovo e bottarga, la più esclusiva.

Queste le farciture che abbiamo scelto: 

bonci pizza

— Pomodoro.

Un impasto a base di farina di enkir e di grano duro senatore Cappelli, messo a maturare per 72 ore al fresco e ottenuto con metodo di lavorazione  indiretto –“biga”, per gli intenditori– vale a dire tramite un pre-impasto lievitato a parte che, una volta unito al resto dell’impasto, sarà in grado di sviluppare batteri lattici e acetici che daranno luogo a sapori e aromi unici.

Impasto che verrà esaltato da una leggera guarnitura di salsa di pomodoro, ottenuta esclusivamente da pomodori provenienti da orti di proprietà di Bonci stesso.

— Porcini e pesche in insalata, insieme a barbe di finocchio selvatico all’aceto.

Una combinazione di consistenze e sapori tutta giocata tra l’acidità e la dolcezza, tra la decisa consistenza del fungo e la morbidezza delle pesche caramellate.

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— Porcino ripassato in padella, palamita sott’olio, rughetta e capperi.

L’esempio della ricerca sulla materia prima: il pesce azzurro viene affumicato in legno per avere la giusta sfumatura di sapore.

— Uovo in umido alla giapponese, limone verdolino, cipolla marinata nel ginepro e bottarga in uscita.

La pizza gourmet per eccellenza, con uova di galline allevate a terra e nutrite solamente a canapa. Le uova coagulano molto più lentamente garantendo una gradevole umidità.

— Polpo “rosticciato”, ovvero sbollentato e  poi grigliato. Risultato: due piavcevoli consistenze: arrostito da un lato, morbido dall’altro.

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7. SUPPLI’ DI SPAGHETTI, MOZZARELLA IN CARROZZA E BIRRA ENKIR

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2.50 euro – 3 euro – 4 euro

E con questi ultimi due gioielli entriamo nel campo del vizio vero e proprio. Della lussuria  applicata alla gola.

Basta guardare questi particolarissimi supplì dove al posto del consueto riso, Bonci utilizza dei succulenti spaghetti pomodoro e basilico, cotti a puntino, la cui forma richiede manualità e pratica non da poco.

Anche se saranno il sapore delizioso e la consistenza croccante a conquistarvi, non certo la forma.

La mozzarella in carrozza, poi, non ha nulla a che vedere con quelle frittelle basse e grondanti di unto che vediamo tristemente far capolino delle rosticcerie sotto casa.

Croccante impanatura fuori, morbida e generosa mozzarella dentro, dove sbuca, ben amalgamato con il formaggio, lo schietto sapore della ‘nduja a ravvivare l’eterea mozzarella.

Un morso di paradiso arrostito, che rimane tale anche quando il tutto tenderà a raffreddarsi, senza creare fastidiose stratificazioni tra i due ripieni.

E infine, la birra. Non certo una birra qualunque ma la “Enkir”, nata dalla collaborazione tra Bonci, Birra del Borgo e  Mulino Marino, che ha dato origine a questa birra ad alta fermentazione, con  gradazione alcolica del 6,1%, sentore di fiori di campo e miele di acacia, e con una nota nettamente percepibile di  cereali e che dona al palato una particolare sensazione, quasi di… masticabilita’.

Avvertirete la nota acidula dell’enkir in chiusura, per concludere in bellezza il gustosissimo pasto a base di pizza. Al taglio, ovviamente.

Cosa c’è nel primo Canapa Caffè aperto a Roma

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La cannabis ha finalmente trovato a Roma un locale interamente dedicato.

No, fermi, non è quello a cui state pensando: toglietevi dalla testa l’idea di succosi festini e trasognate serate, perché non è niente di tutto questo.

E non si tratta nemmeno della canna che trovate a lato del vostro tavolo e che vi offre Philip Wolf, il primo sommelier della cannabis, nel caso decidiate di farvi servire un pasto dalla sua Cultivate Spirits (e di cui Dissapore ha già parlato).

Qui, infatti, si tratta di cannabis terapeutica.

Cannabis per curare, cannabis regolarmente prescritta dal Servizio Sanitario nazionale allo scopo di curare e essere d’ausilio in specifiche patologie per cui la stessa si è dimostrata essere di aiuto.

Nessuno sballo, nessun festino, quindi. Solo il diritto di potersi curare con il particolare “farmaco” regolarmente prescritto da medici abilitati, senza timori, patemi d’animo e sotterfugi vari.

Questa è stata l’idea di Luca Mantuano e Carlo Monaco, che hanno fondato a Roma il primo “Canapa Caffè”.

marijuana

Il particolare caffè, infatti, non solo offre nell’area shop prodotti a base di canapa alimentare –canapa cioè proveniente soltanto da aziende certificate che ne hanno reso inattivo il prinicipio psicoattivo THC– quali cosmetici, alimenti o abiti, oltre a essere provvisto di un lounge bar dove vengono serviti piatti a base di semi, farine e oli di canapa, ma soprattutto mette a disposizione una sala riservata a tutti coloro ai quali è stata prescritta, da parte di medici del Servizio Sanitario Nazionale, una terapia mirata a base di cannabis.

Questi clienti avranno anche a disposizione, nella sala per loro predisposta, le attrezzature necessarie per assumere la loro terapia nel modo migliore, quali ad esempio dei nebulizzatori che consentono di ottenere il meglio dal farmaco a loro prescritto.

Quasi una provocazione, pare, da parte dei due coraggiosi fondatori, che intendono in questo modo sfidare le contraddizioni vigenti nel nostro Paese, che da un lato riconosce il valore terapeutico della cannabis prescrivendone l’uso in determinati casi, ma nel contempo vieta di assumere la particolare terapia in luoghi pubblici, relegandone l’assunzione all’interno delle proprie abitazioni.

Prodotti a base di marijuana

In questo modo, i due titolari, che rischiano fino a 4 anni di carcere, vogliono offrire anche a questo particolare tipo di pazienti, tra cui loro stessi, la possibilità di socializzare e fare terapia oltre le pareti di casa propria, e soprattutto “di essere delle persone libere di curarci anche con metodi non convenzionali.

“Ci piacerebbe che il nostro progetto pilota sia seguito da altri in Italia, per dimostrare che chi utilizza questa pianta per motivi di salute non deve più nascondersi o sentirsi discriminato come se fosse un tossico. Associare il discorso droghe alle malattie è pregiudizievole ed errato. E noi vogliamo abbattere questo muro d’ignoranza”.

[Crediti: Repubblica, Huffington Post]

Cosa si mangia e quanto si spende al Mercato Centrale di Roma

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Come vi avevamo preannunciato il Mercato Centrale da oggi ha una sede anche a Roma con ingresso in Via Giolitti.

Dopo quella di Firenze ha aperto la sede romana negli spazi dell’ex dopo lavoro ferroviario all’interno della Stazione Termini, proprio sotto la Cappa Mazzoniana (opera realizzata negli anni Trenta dall’architetto Angiolo Mazzoni).

La grande hall del cibo, estesa su una superficie di quasi 2 mila metri quadrati -prima meta di clochard, ora ritrovo per “foodie”– è un progetto di Umberto Montano, imprenditore della ristorazione, che a Firenze, nel 2014, ha ridato vita al primo piano del mercato coperto di San Lorenzo, oltre 3 milioni di ingressi nel 2016.

Nel Mercato Centrale di Roma, aperto dalle 7 di mattina fino a mezzanotte, si può acquistare, mangiare, bere, apprendere i rudimenti della cucina e leggere grazie a 16 botteghe, una birreria e un ristorante guidato dallo chef di origini tedesche Oliver Glowig, due stelle Michelin.

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Chiamati a rappresentare la scena capitolina e a valorizzare le specialità regionali spiccano tra i bottegai il forno di Gabriele Bonci, i trapizzini di Stefano Callegari (triangoli di focaccia riempiti con trippa, polpette ed altre delizie della cucina nostrana), la mecelleria di Roberto Liberati ma pure “carciofari” e Pastella, specialisti di fritti street food com i supplì con miele e guanciale.

Sembra già di sentire le prime polemiche: se il luogo è nuovo ad “abitarlo” sono i soliti noti.

Il Mercato colpisce per l’ampiezza degli spazi, ha una zona centrale dedicata alla caffetteria (con le miscele di Franco Mondi di MondiCaffè) e alle birre con le proposte di Moretti.

Ma cosa si può mangiare al Mercato Centrale di Roma, e quanto costa?

Oliver Glowig – La Tavola

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E’ il nome di grande richiamo, il secondo chef tedesco che ha conquistato Roma, elevato dalla Guida Michelin fino alle due stelle.

Ma la proposta nel ristorante del Mercato Centrale è più in linea con la mission di valorizzare le specialità locali, sarà dunque particolarmente interessante assaggiare le proposte del menu, i grandi prodotti dell’artigianato laziale, la promettente mozzarella.

2. Gabriele Bonci – Pane e prodotti da forno

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Uno e trino ormai Gabriele Bonci è ovunque: da Pizzarium al Panificio, passando per i tanti eventi, fino ai nuovi punti vendita come questo.

In vetrina i grandi classici, dalla pizza al pane passando per i dolci.

3. Pizzeria Sud – Pizza

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Quattro pizze lievitate lentamente, per un minimo di 48 ore, proposte nello spazio del pizzaiolo napoletano Romualdo Rizzuti, già presente al Mercato Centrale di Firenze.

Sono margherita (8€), marinara (7€), Napoli spagnola e una pizza che varia in base alla stagione.

4. Alessandro Conti e Gabriele La Rocca – Carciofi e Funghi

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Funghi fritti, funghi crudi in carpaccio, carciofi alla romana, carciofi alla giudia e tanto altro, tutto grazie a Alessandro Conti, che i romani del centro conoscono bene per la presenza nel mercato di Campo de’ Fiori, e Gabriele La Rocca, da Oriolo Romano.

5. Stefano Callegari – Trapizzino

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Da Testaccio al Mercato Centrale passando per Tokyo: grazie alla sua invenzione Stefano Callegari, papà del trapizzino (nonché proprietario a Roma di tre pizzerie molto note), si è conquistato una bella fetta di mondo.

Ora porta il trapizzino anche all’Esquilino, il prezzo? 4 euro l’uno.

6. Egidio Michelis – Pasta Fresca

mercato centrale roma, pastificio

Il pastificio di Mondovì, che si auto-definisce “referente per la pasta fresca di Eataly” si lega anche alla food hall concorrente, proponendo ravioli freschi, rigatoni e fettucine (8€)

7. Luciano Savini – Tartufo

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Ogni bottega del Mercato ha le sue specialità, che da Savini non può che essere il tartufo. Presente in tipologie, formati e confezioni diverse, si può anche consumare al momento, come tocco di classe in un panino a 2,50 euro.

8. Veg&Veg – Vegetariano e Vegano

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Macedonie, frutta, insalate, gazpacho in crosta di pane e soprattutto hamburger vegetariani e vegani.

Sarà state l’inaugurazione, la presenza di specialità molto invitanti (trapizzini, pizze, carne) che si potevano degustare gratis, ma questa era praticamente l’unica bottega vuota. Non prendetevela con moi.

9. Famiglia Galluzzi – Pesce

mercato centrale roma, pescheria

Dal 1894 a Roma, passando per quattro generazioni, sempre in Via Venezia 26-28 ( e anche in Via Gregorio VII) l’Antica Pescheria Galluzzi porta alla Stazione Termini il pesce proveniente da Terracina, Porto Santo Stefano e Gallipoli.

Da provare nelle pescheria con cucina l’imperdibile frittura mista a 8 euro

10. La Toraia – Hamburger

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Arriva l’hamburger di Chianina direttamente dagli allevamenti in Toscana della Tenuta La Fratta. L’hamburger costa 8 euro ma il consiglio è di provare anche l’hot dog di maiale toscano.

Ricordatelo poi, è un suggerimento di Dissapore.

11. Arà – Specialità Siciliane

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Pensate a tutto ciò di edibile e dolce vi fa venire in mente la Sicilia, racchiuso in una vetrina.

Cannoli farciti al momento, cioccolato di Modica, cassate,  pasta di mandorle e dolci al marzapane, oltre alle inevitabili arancine.

12. Bottega Liberati – Carne e Salumi

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Altro nome molto conosciuto e apprezzato a Roma quello del macellaio Roberto Liberati, che rende più facilmente rintracciabili sulla pizza romana le sue carni memorabili mettendo su bottega al Mercato Centrale.

Da provare tassativamente la tartare e gli insaccati.

13. Andrea Stainer – Cioccolato

Gli abbinamenti insoliti delle tavolette e delle praline Andrea Stainer sbarcano a Roma. Largo allora al cioccolato al tiramisù, al cappuccino o con il curry, la spezia indiana.

E ancora, tavolette gluten free e preparati come budini, sorbetti, gelati, mousse e cioccolata in tazza.

14. Pastella – i Fritti

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Eccoli gli specialisti del fritto street food, ovvero la friggitoria cara ai  gourmet del quartiere romano di Montesacro, che ora porta a Termini fritture di carne e vegetali, pizza e supplì tentatori in vendita a 2 euro l’uno.

15. Beppe e i suoi formaggi – Formaggi

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Altra istituzione romana, che in pochi anni ha cambiato le abitudini degli appassionati romani che frequentano assiduamente la sua bottega.

Beppe Giovale ha appena portato ogni meraviglia casearia a Termini, e oltre a quelle anche testarli, farinata con stracchino e pane carasau in abbinamento

16. Cremilla – Gelato

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Il mastro gelatiere Luca Veralli (che viene da un’esperienza a La Romana, e qui vedo buona parte dei lettori di Dissapore storcere il naso), propone qui idee diverse da quelle della famosa catena.

Diversi i gusti di gelato artigianale che ha per unico addensante è la farina di carrube, uno per tutti il limone, preparato con succo di limone, acqua e zucchero. Stop.

17. Salvatore De Gennaro – Vino e Dispensa

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Accanto alla “trattoria” di Oliver Glowig c’è lo spazio dedicato al vino e alla dispensa, sotto la guida di Salvatore De Gennaro che porta al Mercato Centrale esperienza e prodotti dalla sua bottega, conosciuta e apprezzata da molti campani e altrettanti turisti.

Stiamo parlando de La Tradizione di Vico Equense, quindi sotto con pasta, conserve, olio, confetture, formaggi e una grande scelta di salumi, oltre naturalmente ai vini.

18. La Birreria

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Uno degli spazi più scenografici del nuovo Mercato Centrale di Roma è quello riservato alle spine della Birreria sul retro della quale è disponibile anche un bar caffetteria.

E allora, l’avreste mai detto, stazione Termini, il triste non-luogo dove al massimo si addentava al volo qualche merendina mangiata o un panino scartocciato e bricioloso, trasformata in una fiammante Food Hall?

Che ve ne pare?

[Crediti | Link: Dissapore, immagini, Luca Sessa e Paolo Campana]

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